Sono passati tanti giorni. L’economia è al collasso. Non è ancora tempo di fare bilanci, non è tempo di avere paura, ma qualche confronto è umano che venga fatto. La Germania, scaltra e anche un pò falsa, ha però una cosa che ha funzionato meglio di noi: l’impianto sanitario. Il minor numero di morti è un dato incontrovertibile, anche se un pò annacquato, ma che deriva dal fatto che hanno oltre 40.000 terapie intensive contro le 5.000 italiane. E’ altrettanto incontrovertibile che questa malattia, se presa in tempo, può essere sconfitta, e noi, in Italia, abbiamo giocato sempre di rimessa, sempre gestendo l’urgenza. Chiunque, nel mondo, abbia potuto intervenire prontamente contro il virus, ne è scampato, indipendentemente dall’età. Tante persone famose, anche se avanti con gli anni, ne sono uscite. Negli anni la dismissione del nostro apparato sanitario, complesso e costoso, ha fatto cilecca. Avevamo un sistema sanitario pubblico all’avanguardia, ma ora ne rimane solo l’idea. Abbiamo visto che il così detto sistema Lombardo ha semplicemente fallito. Un fallimento senza se e senza ma. Mi vengono i brividi solo a pensare se i numeri della Lombardia, del Piemonte o del Veneto, fossero capitati al sud o anche al centro. Avremmo avuto, presumibilmente, molti più morti. A questo disastro, aggiungerei anche la totale incompetenza della nostra classe dirigente. Siamo in mano a persone non all’altezza. La politica funziona se riesce a contornarsi di tecnici all’altezza, di menti geniali che possano dare una svolta al loro operato. La politica dovrebbe dare solo un indirizzo. L’Italia nel calcio è famosa per il gioco di rimessa e ripartenza. Una difesa arcigna, che permette giocate in contropiede orchestrate da tanti nostri bravi fantasisti, penso a: Del Piero, Totti, Baggio e tanti altri. Abbiamo vinto tante coppe del mondo con questo gioco. Mi viene il dubbio che il nostro modo di giocare a calcio sia sintomatico di un nostro modo d’essere, di comportarci, di vivere la vita. Noi ci difendiamo e poi ci affidiamo a qualche essere eccelso che mantiene alto il nostro onore. La questione della pandemia l’abbiamo gestita proprio così. Ci siamo difesi, malamente e senza strumenti, affidandoci a dottori e infermieri competenti, ma senza armi. L’economia affidata a un manipolo d’improvvisati che hanno fatto proclami e puntualmente sono stati smentiti dal sistema e dall’apparato che gestiscono: vecchio e inefficiente. Persone vere in carne e ossa, rimaste appese a questo o a quell’aiuto senza avere risposte. Sono passati quasi due mesi e ancora del tempo dovrà passare. Sento parlare della riapertura della scuola i primi di settembre. Secondo me anche questo è sbagliato. Capisco che si voglia far recuperare i ragazzi, ma noi in Italia abbiamo un settore, quello del turismo, che è fondamentale per la nostra economia. Certo non è tempo di pensare alle vacanze, ma far riaprire le scuole il primo di settembre darebbe una spallata, forse mortale, ad un settore in estrema difficoltà. Vieterebbe a delle famiglie, che potrebbero concedersi delle ferie in settembre di doverci rinunciare. Tutto a discapito del settore turistico e alberghiero. Una nazione dovrebbe essere un corpo unico che deve funzionare in modo armonico e strutturato. Qui sembra che ognuno vada per proprio conto, senza un filo logico. Certo dovrebbe esserci un direttore d’orchestra degno, ma probabilmente Conte, il nostro premier, non è all’altezza di prendere questo tipo di decisioni. Senza buttargli la croce addosso perché la situazione era, ed è, difficilissima da gestire, ma l’adeguatezza è una caratteristica che questo premier forse non ha dimostrato di avere. Forse un pò figlio di questa classe politica che al suo interno ha una schiera di miracolati, senza competenze, messi li dopo un Vaffaday. L’unica cosa certa è che di questa ferita: economica e non solo, ne pagheremo le conseguenze a lungo tutti. Se poi è vero quello che emergerebbe in merito alle responsabilità cinesi, tutto prenderebbe una tonalità molto più drammatica. Intanto fino al 4 maggio stiamo rintanati a casa, ma la vita non sarà come prima, neanche dopo.
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#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 24
Oggi è domenica e continuiamo a rimanere segregati. Non è solo domenica, ma è anche domenica delle palme. A memoria sono sempre andato a prendere la palma che poi mi accompagnava durante l’anno. Quest’anno non si può. O meglio noi non possiamo. Il vescovo di Frascati, ha pensato bene di dire messa in cattedrale lasciando le porte aperte. La messa sarebbe dovuta andare in onda su YouTube soltanto. Il risultato è stato che la gente è entrata. Senza fare i bigotti, messa si, messa no; è più importante questo o quello, sta di fatto che il prelato ha sbagliato. Senza se e senza ma, irresponsabilmente ha creato le situazioni ideali per contagiare le persone che erano presenti. La cosa più grave è che lo ha fatto scientemente e senza motivo. Pensare che è una di quelle persone che dovrebbe dare l’esempio. Sottovalutare questo virus ci è costato molto caro. Passando ai dati, oggi ci sono stati meno deceduti, ma non si arrestano i nuovi positivi. Seppur in linea con i giorni passati, ma continuano a crescere. Questa inesorabile crescita è la cosa più fastidiosa da vivere. Vorrei vedere ripagati i sacrifici di tutti con dei dati migliori. Ma poi ho letto un lungo e interessante articolo scritto da Angel Luis Lara. Fino a oggi, per me, sconosciuto sociologo docente all’università di New York, che traccia una linea logica e storica di quello che ci ha portato alla pandemia. L’articolo l’ho ripreso dal Manifesto e, oltre ad essere illuminato e ben scritto fa, verso la fine, una considerazione che mi ha fatto e mi sta facendo molto riflettere:
“Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.”
Forse ha ragione. Ma se il problema fosse problema fosse proprio questa agognata e sbagliata normalità. E’ un pensiero che ho da un pò. Ma se tutto questo fosse proprio il messaggio, o anche un ultimatum che la natura ci ha voluto lanciare? Ma forse poi, tutto questo disastro deve insegnarci qualcosa di concreto e lanciarci in quella svolta che il nostro pianeta ci chiede?
Riporto l’articolo qui di seguito, per chi ha voglia e tempo da dedicargli:
“Nell’ottobre del 2016 i suini neonati degli allevamenti della provincia di Guangdong, nel sud della China, cominciarono ad ammalarsi per il virus della diarrea epidemica suina (PEDV), un coronavirus che colpisce le cellule che ricoprono l’intestino tenue dei maiali. Quattro mesi dopo, tuttavia, i piccoli suini smisero di risultare positivi al PEDV, anche se continuavano ad ammalarsi e a morire.
Come confermarono gli esami, si trattava di un tipo di malattia mai visto prima e che fu battezzata come Sindrome della Diarrea Acuta Suina (SADS-CoV), provocata da un nuovo coronavirus che uccise 24 mila suini neonati fino al maggio del 2017, precisamente nella stessa regione in cui tredici anni prima si era scatenata l’epidemia di polmonite atipica conosciuta come SARS.
Nel gennaio del 2017, nel pieno dello sviluppo dell’epidemia suina che devastava la regione di Guangdong, vari ricercatori in virologia degli Stati uniti pubblicarono uno studio sulla rivista scientifica “Virus Evolution” in cui si indicavano i pipistrelli come la maggiore riserva animale di coronavirus del mondo.
Le conclusioni della ricerca sviluppata in Cina furono coincidenti con lo studio nordamericano: l’origine del contagio fu localizzata, con precisione, nella popolazione di pipistrelli della regione.
Ma come fu possibile che una epidemia tra i maiali fosse scatenata dai pipistrelli? Cos’hanno a che fare i maiali con questi piccoli animali con le ali?
La risposta arrivò un anno dopo, quando un gruppo di ricercatori cinesi pubblicò un rapporto sulla rivista “Nature” in cui, oltre a segnalare al loro paese il focolaio rilevante di apparizione di nuovi virus ed enfatizzare l’alta possibilità di una loro trasmissione agli esseri umani, facevano notare come la crescita dei macro-allevamenti di bestiame avesse alterato le nicchie vitali dei pipistrelli.
Inoltre, lo studio rese chiaro che l’allevamento industriale ha incrementato le possibilità di contatto tra la fauna selvatica e il bestiame, facendo esplodere il rischio di trasmissione di malattie originate da animali selvatici i cui habitat sono drammaticamente aggrediti dalla deforestazione.
Tra gli autori di questo studio compare Zhengli Shi, ricercatrice principale dell’Istituto di virologia di Wuhan, la città da cui proviene l’attuale Covid-19, il cui ceppo è identico per il 96 per cento al tipo di coronavirus trovato nei pipistrelli per mezzo dell’analisi genetica.
2.
Nel 2004, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Organizzazione mondiale della salute animale (Oie) e l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), segnalarono l’incremento della domanda di proteina animale e l’intensificazione della sua produzione industriale come principali cause dell’apparizione e propagazione di nuove malattie zoonotiche sconosciute, ossia di nuove patologie trasmesse dagli animali agli esseri umani.
Due anni prima, l’organizzazione per il benessere degli animali Compassion in World Farming aveva pubblicato sull’argomento un interessante rapporto. Per redigerlo, l’associazione britannica aveva utilizzato dati della Banca mondiale e dell’Onu sull’industria dell’allevamento che erano stati incrociati con rapporti sulle malattie trasmesse attraverso il ciclo mondiale della produzione alimentare.
Lo studio concluse che la cosiddetta “rivoluzione dell’allevamento”, ossia l’imposizione del modello industriale dell’allevamento intensivo legato ai macro-allevamenti, stava provocando un incremento globale di infezioni resistenti agli antibiotici, rovinando i piccoli allevatori locali e promuovendo la crescita delle malattie trasmesse attraverso alimenti di origine animale.
Nel 2005, esperti della Oms, della Oie e del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati uniti e il Consiglio nazionale del maiale di questo paese elaborarono uno studio nel quale si tracciava la storia della produzione negli allevamenti dal tradizionale modello delle piccole fattorie familiari fino all’imposizione delle macro-fattorie industriali.
Tra le sue conclusioni, il rapporto segnalava, come uno dei maggiori impatti del nuovo modello di produzione agricola, la sua incidenza nell’amplificazione e mutazione di patogeni, così come il rischio crescente di disseminazione di malattie.
Inoltre, lo studio notava come la sparizione dei modi tradizionali di allevamento a favore dei sistemi intensivi si stava producendo nella percentuale del 4 per cento l’anno, soprattutto in Asia, Africa e Sudamerica.
Nonostante i dati e gli allarmi, non si è fatto nulla per frenare la crescita dell’allevamento industriale intensivo.
Oggi, Cina e Australia concentrano il maggior numero di macro-fattorie del mondo. Nel gigante asiatico la popolazione degli animali allevati si è praticamente triplicata tra il 1980 e il 2010.
La Cina è il produttore di animali allevati più importante del mondo, e concentra nel suo territorio il maggior numero di “landless systems” (sistemi senza terra), macro sfruttamento di allevamenti in cui si affollano migliaia di animali in spazi chiusi.
Nel 1980 solo il 2,5 per cento degli allevamenti cinesi era costituito da questo tipo di fattoria, nel 2010 raggiungeva il 56 per cento.
Come ci ricorda Silvia Ribeiro, ricercatrice del Gruppo di azione su erosione, tecnologia e concentrazione (ETC), una organizzazione internazionale che si concentra nella difesa della diversità culturale e ecologica e dei diritti umani, la Cina è la fabbrica del mondo.
La crisi scatenata dall’attuale pandemia provocata dal Covid-19 rivela il suo ruolo nell’economia globale, particolarmente nella produzione industriale di alimenti e nello sviluppo dell’allevamento intensivo.
Solo la Mudanjiang Ciy Mega Farm, una fattoria gigante situata nel nord-est della Cina, che contiene centomila vacche la cui carne e il cui latte sono destinati al mercato russo, è cinquanta volte più grande della più grande fattoria bovina dell’Unione europea.
3.
Le epidemie sono un prodotto dell’urbanizzazione. Quando circa cinquemila anni fa gli esseri umani cominciarono a raggrupparsi in città con una certa densità di popolazione, le infezioni poterono colpire simultaneamente grandi quantità di persone e i loro effetti mortali si moltiplicarono.
Il pericolo di pandemie come quella attuale si generalizzò quando il processo di urbanizzazione è diventato globale.
Se applichiamo questo ragionamento all’evoluzione della produzione di carne le conclusioni sono realmente inquietanti. In un periodo di cinquanta anni l’allevamento industriale ha “urbanizzato” una popolazione animale che prima si distribuiva in piccole e medie fattorie familiari. Le condizioni di affollamento di questa popolazione in macro-fattorie convertono ciascun animale in una sorta di potenziale laboratorio di mutazioni virali suscettibili di provocare nuove malattie e epidemie.
Questa situazione è tuttavia più inquietante se consideriamo che la popolazione globale di animali allevati è quasi tre volte maggiore di quella di esseri umani.
Negli ultimi decenni, alcune delle infezioni virali con maggiore impatto si sono prodotte grazie a infezioni che, oltrepassando la barriera delle specie, hanno avuto origine nello sfruttamento intensivo dell’allevamento.
Michael Greger, ricercatore statunitense sulla salute pubblica e autore del libro “Flu: A virus of our own hatching” (influenza aviaria: un virus che abbiamo incubato noi stessi), spiega che prima della domesticazione degli uccelli, circa 2500 anni fa, l’influenza umana di certo non esisteva.
Allo stesso modo, prima della domesticazione degli animali da allevamento non si hanno tracce dell’esistenza del morbillo, del vaiolo e di altri morbi che hanno colpito l’umanità da quando sono apparsi in fattorie e stalle intorno all’anno ottomila prima della nostra era.
Una volta che i morbi saltano la barriera tra specie possono diffondersi nella specie umana provocando conseguenze tragiche, come la pandemia scatenata da un virus dell’influenza aviaria nel 1918 e che in un solo anno uccise tra 20 e 40 milioni di persone.
Come spiega il dottor Greger, le condizioni di insalubrità nelle trincee della prima guerra mondiale sono solo una delle variabili che causarono una rapida propagazione del contagio del 1918, e sono a loro volta replicate oggi in molti dei mega-allevamenti che si sono moltiplicati negli ultimi venti anni con lo sviluppo dell’allevamento industriale intensivo.
Miliardi di polli, per esempio, sono allevati in questa macro-imprese che funzionano come spazio di contenimento suscettibile di generare una tempesta perfetta di carattere virale.
Da quando l’allevamento industriale si è imposto nel mondo, la medicina sta rilevando morbi sconosciuti e un ritmo insolito: negli ultimi trent’anni si sono identificati più di trenta patogeni umani, la maggior parte dei quasi virus zoonotici come l’attuale Covid-19.
4.
Il biologo Robert G. Wallace ha pubblicato nel 2016 un libro importante per tracciare la connessione tra i modelli della produzione capitalista di bestiame e l’eziologia delle epidemie esplose negli ultimi decenni: “Big Farms Make Big Flu” (le mega-fattorie producono macro-influenze).
Alcuni giorni fa, Wallace concesse una intervista alla rivista tedesca Marx21, nella quale sottolinea una idea chiave: concentrare l’azione contro il Covid-19 su mezzi d’emergenza che non combattano le cause strutturali dell’epidemia è un errore dalle conseguenze drammatiche. Il principale pericolo che fronteggiamo è considerare il nuovo coronavirus come un fenomeno isolato.
Come spiega il biologo statunitense, l’incremento degli incidenti con virus, nel nostro secolo, così come l’aumento delle loro pericolosità, sono direttamente legati alle strategie delle corporazioni agricole e dell’allevamento, responsabili della produzione industriale intensiva di proteine animali.
Queste corporazioni sono così preoccupate per il loro profitto da assumere come un rischio proficuo la creazione e propagazione di nuovi virus, esternalizzando così i costi epidemiologici delle loro operazioni agli animali, alle persone, agli ecosistemi locali, ai governi e, proprio come mostra la pandemia attuale, allo stesso sistema economico mondiale.
Nonostante l’origine esatta del Covid-19 non sia del tutto chiara, essendo possibili cause dell’infezione virale tanto i maiali delle macro-fattorie quanto il consumo di animali selvatici, questa seconda ipotesi non scagiona gli effetti diretti della produzione intensiva di animali.
La ragione è semplice: l’industria dell’allevamento è responsabile dell’epidemia di influenza suina africana (ASP) che ha devastato le fattorie cinesi che allevano maiali l’anno scorso.
Secondo Christine McCracken, la produzione cinese di carne di maiale potrebbe essere crollata del 50 per cento alla fine dell’anno passato. Considerato che, almeno prima dell’epidemia di ASf nel 2019, la metà dei maiali che esistevano nel mondo veniva allevata in Cina, le conseguenze per l’offerta di carne di maiale sono state drammatiche, particolarmente nel mercato asiatico.
E’ precisamente questa drastica diminuzione dell’offerta di carne di maiale che avrebbe motivato un aumento della domanda di proteina animale proveniente dalla fauna selvatica, una delle specialità del mercato della città di Wuhan, che alcuni ricercatori hanno segnalato come l’epicentro dell’epidemia di Covid-19.
5.
Frédéric Neyrat ha pubblicato nel 2008 il libro “Biopolitique des catastrophes” (biopolitica delle catastrofi), una definizione con la quale egli indica una maniera di gestire il rischio che non mette mai in questione le cause economiche e antropologiche, precisamente le modalità di comportamento dei governi, delle élites e di una parte significativa delle popolazioni mondiali in relazione alla pandemia attuale.
Nella proposta analitica del filosofo francese, le catastrofi implicano una interruzione disastrosa che sommerge il presunto corso normale dell’esistenza. Nonostante il suo carattere di evento, si tratta di processi in marcia che mostrano, qui e ora, gli effetti di qualcosa che è già in corso.
Come segnala Neyrat, una catastrofe sempre si origina da qualche parte, è stata preparata, ha una storia.
La pandemia che ci devasta disegna con efficacia la sua caratteristica di catastrofe, tra l’altro nell’incrocio tra epidemiologia e economia politica. Il suo punto di partenza è saldamente ancorato nei tragici effetti dell’industrializzazione capitalista del ciclo alimentare, particolarmente nell’allevamento.
Oltre alle caratteristiche biologiche intrinseche dello stesso coronavirus, le condizioni della sua propagazione includono gli effetti di quattro decenni di politiche neoliberiste che hanno eroso drammaticamente le infrastrutture sociali che aiutano a sostenere la vita. In questa deriva, i sistemi sanitari pubblici sono stati particolarmente colpiti.
Da giorni circolano nelle reti sociali e nei telefoni mobili testimonianze del personale sanitario che sta combattendo con la pandemia negli ospedali. Molti coincidono con la descrizione di una condizione generale catastrofica caratterizzata da una drammatica mancanza di risorse e di personale sanitario.
Come annota Neyrat, la catastrofe possiede sempre una storicità e dipende da un principio di causalità.
Dagli inizi del secolo, differenti collettivi e reti cittadine hanno denunciato il profondo deterioramento del sistema pubblico della salute che, per mezzo di una politica reiterata di sottrazione di capitali, ha condotto praticamente al collasso la sanità in Spagna.
Nella Comunidad (Regione) di Madrid, territorio particolarmente colpito dal Covid-19, l’investimento pro capite destinato al sistema sanitario si è andato riducendo in modo critico negli ultimi anni, mentre si scatenava un parallelo processo di privatizzazione. Sia la cura primaria come i servizi di urgenza della regione erano già saturi e con gravi carenze di risorse prima dell’arrivo del coronavirus.
Il neoliberismo e i suoi agenti politici hanno seminato su di noi temporali che un microorganismo ha trasformato in 6.
Nel pieno della pandemia ci sarà sicuramente chi si affannerà nella ricerca di un colpevole, si tratti di un capro espiatorio o di un furfante. Si tratta di certo di un gesto inconscio per mettersi in salvo: trovare qualcuno a cui attribuire la colpa tranquillizza perché depista sulle responsabilità.
Tuttavia più che impegnarsi nello smascherare un soggetto solo, è più opportuno identificare una forma di soggettivizzazione, ossia interrogarsi su uno stile di vita capace di scatenare devastazioni così drammatiche come quelle che oggi investono le nostre esistenze.
Si tratta senza dubbio di una domanda che non ci salva né ci conforta e meno ancora ci offre una via d’uscita. Sostanzialmente perché questo stile di vita è il nostro.
Un giornalista si è avventurato qualche giorno fa ad offrire una risposta sull’origine del Covid-19: “Il coronavirus è una vendetta della natura”. Al fondo non gli manca una ragione. Nel 1981 Margaret Thatcher depose una frase per i posteri che rivelava il senso del progetto cui lei partecipava: “L’economia è il metodo, l’obiettivo è cambiare l’anima”.
La prima ministra non ingannava nessuno. Da tempo la ragione neoliberista ha convertito ai nostri occhi il capitalismo in uno stato di natura. L’azione di un essere microscopico, tuttavia, non solo sta riuscendo di arrivare anche alla nostra anima, ma ha spalancato una finestra grazie alla quale respiriamo l’evidenza di quel che non volevamo vedere.
Ad ogni corpo che tocca e fa ammalare, il virus reclama che tracciamo la linea di continuità tra la sua origine e la qualità di un modo di vita incompatibile con la vita stessa. In questo senso, per paradossale che sembri, affrontiamo un patogeno dolorosamente virtuoso.
La sua mobilità aerea sta mettendo allo scoperto tutte le violenze strutturali e le catastrofi quotidiane là dove si producono, ossia ovunque.
Nell’immaginario collettivo comincia a diffondersi una razionalità di ordine bellico: siamo in guerra contro un coronavirus. Eppure sarebbe forse più esatto pensare che è una formazione sociale catastrofica quella che è in guerra contro di noi già da molto tempo.
Nel corso della pandemia, le autorità politiche e scientifiche dicono che sono le persone gli agenti più decisivi per arginare il contagio.
Il nostro confinamento è inteso in questi giorni come il più vitale esercizio di cittadinanza. Tuttavia, abbiamo bisogno di essere capaci di portarlo più lontano.
Se la clausura ha congelato la normalità delle nostre inerzie e dei nostri automatismi, approfittiamo del tempo sospeso per interrogarci su inerzie e automatismi.
Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.
Il problema che affrontiamo non è solo il capitalismo in sé, ma anche il capitalismo in me. Chissà che il desiderio di vivere non ci renda capaci della creatività e della determinazione per costruire collettivamente l’esorcismo di cui abbiamo bisogno.
Questo, inevitabilmente, tocca a noi persone comuni.
Grazie alla storia sappiamo che i governanti e i potenti si affanneranno a fare il contrario.
Non permettiamo che ci combattano, dividano o mettano gli uni contro gli altri.
Non permettiamo che, travolti una volta ancora dal linguaggio della crisi, ci impongano la restaurazione intatta della struttura stessa della catastrofe.
Benché apparentemente il confinamento ci abbia isolato gli uni dagli altri, tutto questo lo stiamo vivendo insieme.
Anche in questo il virus appare paradossale: si mette in una condizione di relativa eguaglianza. In qualche modo riscatta dalla nostra amnesia il concetto di genere umano e la nozione di bene comune. Forse i fili etici più efficaci da cui cominciare a tessere un modo di vita diverso a un’altra sensibilità.”
(Articolo originale: El Diario, articolo in italiano su il Manifesto: Articolo su “il Manifesto”)
#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 20
Oggi sono venti giorni che sono chiuso a casa. Insieme a me tutta la mia famiglia. Poche uscite per la spesa, qualche cosa improrogabile per il lavoro, il cane. Queste le uniche evasioni. Daniela, Andrea e Filippo sono stati più bravi di me in questo periodo. Oggi sono passati parecchi corrieri a casa. Stanno diventando una simpatica interruzione della monotonia quotidiana. Con il fatto che lasciano le cose di sotto sembrano i paperboy americani. Quei ragazzi che, spesso in bici, lanciano i quotidiani nelle case, con una mira da cecchino, centrano gli zerbini delle case. Oramai i nostri corrieri passano, suonano e ti lasciano le cose in giardino, o sotto il condominio. I corrieri sono una parte degli eroi che, questi giorni, stanno facendo un lavoro oscuro ma fondamentale. Senza di loro le merci, i nostri ordini on-line non ci sarebbero stati. Se avessero tolto anche quello, la nostra tenuta psicologica sarebbe crollata molto più giù. Sapere che se ci occorre qualcosa, c’è qualcuno che te la consegna, ci ha fatto passare questi giorni con maggiore serenità. Ovviamente questa categoria di lavoratori, si aggiunge a tutte le altre che hanno contribuito a darci un minimo di conforto in questo momento così strano, così difficile. Per quanto riguarda i contagi invece, anche oggi i dati sono stati buoni, non buoni come ieri, ma soddisfacenti. Questo mi fa ben sperare. Dobbiamo tenere duro, ma la strada è quella giusta. La novità di oggi è che possiamo far uscire i bambini per una passeggiata intorno a casa. Sembra poca cosa, invece è una grande conquista per chi come Andrea, (5 anni quasi) è un mese, circa, che non vede i suoi coetanei. Qualche passo intorno a casa non può che fargli bene. Domani, se riesco, ce ne andiamo qui intorno a passeggiare. Portiamo il cane e raccogliamo qualche fiore. Lei adora raccogliere i fiori. E’ primavera e inizia ad esserci il bel tempo, ogni bambino ha diritto ad una passeggiata per mettere il naso fuori da casa. Ogni pediatra avrebbe condannato un comportamento simile. Un genitore che tiene un figlio un mese dentro casa. Roba da togliere la patria podestà. Invece siamo costretti a combattere questa: “maledetta influenza”, come dice Andrea, con dei comportamenti che, normalmente, sarebbero sbagliati. Con dei comportamenti che comprometterebbero seriamente la salute psicologica dei nostri ragazzi. La nostra prudenza ci ha fatto acquistare un mese di vantaggio rispetto al mondo. Come noi, prima di noi, la Cina. In barba a chi guardava l’Italia come disordinata e esagerata, ora possiamo vedere il male da in cima alla montagna. La scalata è stata dura ma siamo in cima, o quasi, dobbiamo solo scendere. Dobbiamo avere prudenza, ma possiamo scendere. Gli Stati Uniti sono un mese indietro con il contagio, ma con dei dati decisamente più allarmanti. Così come Spagna, Germania e Francia. L’unica nota da sottolineare è che i tedeschi non muoiono da COVID-19. Hanno dei numeri, se possibili anche peggiori dei nostri, ma non muoiono. Secondo loro tutto il mondo dovrebbe bersi questa cretinata. Secondo loro: gli Spagnoli, gli Italiani, i Cinesi, gli Americani, possono morire di Corona-virus, loro no. Che strana gente i tedeschi.
#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 18
Il video che oggi mi ha colpito è quello del primo ministro albanese. Sono molti gli albanesi in Italia. Una “colonia” importante di un popolo fiero nostro dirimpettaio sull’Adriatico. Anche l’intervista che è seguita in serata su SkyTg24 è stata piacevole e i cenni calcistici sulla modalità per affrontare questa pandemia è stata illuminante. Il Primo Ministro Albanese ha dichiarato che per distruggere e combattere questo mostro invisibile, dobbiamo utilizzare il pressing di Sacchi e non il catenaccio italico. Il video che v’invito a vedere è questo:
E’ una lezione di vita, di stile. Sicuramente figlia di una diplomazia evoluta. Un popolo anche se umile, anche se povero, può dare aiuto a chi ne ha bisogno. Noi siamo stati molto presenti in Albania qualche anno fa. Abbiamo portato aiuti, infrastrutture, uomini e mezzi. Loro sono stati riconoscenti. Tra le parole dette dal Primo Ministro Edi Rama quelle che mi porterò nel cuore sono: “possiamo essere un popolo povero, ma siamo un popolo che non dimentica”. Giusta lezione a chi, invece, dovrebbe esserci vicino perchè facente parte della stessa Unione, quella Europea. In cima a tutti alla Germania, che dopo due guerre, causate e perse aveva un debito incredibile e che, nell’accordo del 27 febbraio 1953 a Londra altri popoli, che la guerra invece l’avevano vinta, hanno rinunciato al 50% del debito. La Germania, ma non solo, è governata da politici miopi che stanno sancendo la fine dell’Europa, per come siamo abituati a vederla e, forse, a sognarla.
https://keynesblog.com/2015/03/10/europa-cancellazione-debito-germania-grecia/
Io sono un Europeista convinto, ma il modello strutturale che dobbiamo seguire, secondo me, è quello degli USA, un governo federale e non un’unione solo di circostanza o di utilità di pochi e potenti stati. Ma sono convinto che la mia è solo un’illusione. Dobbiamo resistere. La bella notizia di oggi è il calo delle persone in terapia intensiva e l’aumento dei dimessi. Sarà lunga, ma ne usciremo. Io sono convinto che ne usciremo anche bene. Dovemmo soffrire sulla ripartenza, ma questa disgrazia restituirà un popolo più forte.
#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 16
Ieri ho messo insieme un pò di numeri relativi al contagio in Italia. Con le poche conoscenze che ho mi sembra che qui non ci siamo proprio. La tendenza rimane alta e abbiamo un tasso di mortalità alto, supera il 10%. I casi di positività hanno ripreso a salire e, dopo due tre giorni in cui ci avevano fatto ben sperare, la linea ha ricominciato ad impennarsi. I guariti sono appena sotto il 13%, ancora pochi. I numeri ci dicono che chi guarisce e chi muore sono più o meno gli stessi. Iniziano i casi di giovani che non ce la fanno, continuano a morire gli anziani. Questo è il quadro, non proprio incoraggiante da noi. Nel mondo invece cosa succede? Gli Stati Uniti passano in testa come numero di contagi e li la situazione sarà veramente drammatica. Non hanno una sanità per tutti e la gente morirà e se non morirà contagerà altre persone. All’interno hanno delle bombe sociali pronte ad esplodere. Secondo me non ne usciranno a breve e non ne usciranno bene. La Spagna è in ginocchio. Anche se i numeri sono più bassi dei nostri, la situazione è già al collasso. Francia e Germania continuano a comportarsi da superiori, non dando numeri attendibili. Come se a loro non riguardasse. In Germania, per esempio, non muoiono da COVID-19. Forse reputano un affronto alla razza ariana morire contagiati. La Francia pensa di risolvere il problema a casa sua, continuando, come se fossimo nel medioevo, a non comunicare con il resto d’Europa. La Gran Bretagna è passata dall’immunità di gregge a stanziare miliardi di sterline per sostenere l’economia e la sanità. Forse ora abbiamo tutti coscienza che il problema è globale. Forse ora abbiamo tutti chiaro che non si ripartirà a breve. Forse ora abbiamo tutti chiaro che l’economia, se andrà bene, dovrà ricevere ossigeno fino a dicembre. Si, andrà messa in terapia intensiva anche la nostra economia. Avrà bisogno di tanto ossigeno perchè da sola non ce la farà a respirare a riprendersi. Dovremo rivedere, quanto meno a breve le nostre abitudini negli spostamenti, nei viaggi, nei contatti con le persone che conosciamo. E questo contribuirà a rallentare le economie globali. La propensione alla spesa e al consumo precipiterà e, anche per mancanza di liquidità, la gente spenderà di meno. Dovremo lottare per riprenderci la nostra libertà. Forse solo ora abbiamo veramente capito l’importanza della vita, del mondo che ci ospita e delle persone che abbiamo vicino. A volte non tutti i mali vengono per nuocere, sta solo a noi prenderci ciò che di buono queste situazioni ci lasciano.
#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 15
Ieri sentivo il paragone tra quello che stiamo passando noi e la guerra. C’ho riflettuto tanto e proprio non mi trovo d’accordo. Le guerre annientano intere generazioni; cadono palazzi, scuole fabbriche, ponti; gli occhi dei bambini non sono più gli stessi dopo. Le atrocità che si passano in guerra non sono comparabili. Neanche il contraccolpo sull’economia è lo stesso. Noi ce ne stiamo nelle nostre case, al caldo, pieni di tutto. Noi, finita l’emergenza, ritorneremo nei nostri uffici nelle nostre aziende, nelle nostre fabbriche e dovremo solo ripartire. Sarà difficile, ma dovremmo solo preoccuparci di fare fronte comune e ripartire. E’ vero, anche questa maledetta situazione sta facendo tanti morti, ma non è paragonabile ad una guerra. Ieri mi ha chiamato un Amico che non sentivo da tanto, Mauro. Facevamo proprio questo discorso. Mi ha raccontato che la mamma, Anna, ancora oggi, se in televisione passa un film di guerra, gli chiede di cambiare. Quei suoni, quei rumori, gli fanno tornare alla mente dei ricordi troppo brutti da riportare in superficie e, forse, impossibile da seppellire del tutto. Quello che stiamo vivendo noi non è assolutamente paragonabile alla guerra. Certo ci sono persone in difficoltà, tante stanno subendo le conseguenze di questo lockdown. Ma non è una guerra. Un altro dato importante che leggevo stamattina è la velocità di propagazione. In Spagna, negli Stati Uniti, il virus sta raggiungendo delle proporzioni molto preoccupanti. Gli Stati Uniti, forse in settimana, supereranno i numero di morti della Cina. Forse già oggi il numero dei contagi dell’Italia. La Spagna ha una situazione decisamente peggiore della nostra. Molto velocemente ci supererà anche lei per contaminati e per deceduti. Da noi la situazione migliora, ma solo perchè stanno dando i primi risultati le politiche messe in atto e perchè, semplicemente, siamo partiti prima. Riflettevo su un fatto: siamo sempre i peggiori, nella normalità, ma i migliori quando c’è da risolvere una situazione difficile.
#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 14
Sto scrivendo di meno, ma in compenso sto: leggendo, lavorando e allenandomi con impegno. Forse sto prendendo il ritmo, ma anche un pò le misure con questa nuova forzata esperienza. Mi sto godendo la famiglia e nel frattempo, la mente naviga fino al momento in cui potremmo tutti uscire da questa reclusione. Penso al mare, alla voglia che ho di farmi una giornata in barca o sul gommone. Penso agli Amici, che sto vedendo solo in video. Penso al fatto che, probabilmente, questo clima di profonda meditazione, di ricerca interna di ognuno di noi, finirà troppo velocemente, così da perderci quello che di buono questa triste esperienza ci voleva lasciare. La natura trova sempre un modo per riprendersi quello che, noi uomini, pensiamo di possedere. Ci sono cose che ci dovrebbero far capire che noi siamo solo di passaggio, ma il clima, l’inquinamento, l’attenzione al nostro pianeta, sono eterni e vanno preservati. In poche settimane la natura ci ha costretto a ridurre l’emissioni e l’inquinamento è ai livelli più bassi da oltre cinquant’anni. Le azioni poste in essere? Sicuramente si poteva fare meglio in Italia. Sicuramente potevamo essere ancora più tempestivi nell’iniziare il lockdown. Io stesso ho sottovalutato la situazione all’inizio, pensando, che fosse solo l’esagerazione mediatica di un’influenza un pò più forte. Bene ha fatto, sempre secondo me, il nostro governo a prendere delle decisioni difficili e impopolari. Nessun primo ministro, a mia memoria, ha dovuto prendere decisioni così devastanti per l’economia, per le famiglie e per le aziende. Siamo però un esempio nel mondo, tanto che, il pazzo primo ministro inglese, oggi, ha chiuso tutto. Cospargendosi il capo di cenere ha dovuto cedere alla violenza di questo virus e capire che l’immunità di gregge, da lui paventata solo 10 giorni fa, era una enorme cazzata. Oggi segnalo che Filippo si è trasferito dalla sua mamma. Ho passato una bella settimana con lui, mi mancherà. Nel frattempo ci coccoliamo, insieme a Daniela, Andrea che sta passando questo isolamento comportandosi da vero angelo.
#iorestoacasa giorno 4 – diario di una pandemia –
Mai nessuno avrebbe pensato che, la nostra generazione, dovesse contrastare un virus, una pandemia che rimarrà alla storia. Questa reclusione forzata da tanti spunti di riflessione, che spaziano dalle cavolate ai concetti più seri. Dona a tutti noi, intanto una consapevolezza: il valore della libertà. Uso i social network. Trovo sempre divertente la capacità e la genialità di scherzare su tutto. In questo momento ho visto tanti commenti, audio e filmati veramente divertenti. Forse ci sono sempre stati, ma io ho mai il tempo di leggerli. Sicuramente la cosa più pesante d’affrontare è essere lontano da mio figlio. Abbiamo limitato anche i suoi spostamenti e insieme a lui abbiamo deciso che starà, tra me e la madre, una settimana per uno continuativamente. Anche questa scelta, difficile e figlia della responsabilità che dobbiamo avere tutti in questi momenti. Mi piace la risposta degli italiani. Appena ci hanno spiegato quello che stavamo passando si sono stretti tutti e, salvo rare eccezioni, sono rimasti a casa. Non solo, chi ha dovuto mettersi a disposizione della collettività, lo ha fatto senza risparmiarsi. Penso a: medici, infermieri, trasportatori, postini, dipendenti della grande distribuzione e a tanti ci stanno mettendo del loro per far passare a tutti questo momento strano e al tempo stesso terribile. Non mi sono piaciuti invece tanti tra politici e giornalisti le informazioni che ci sono arrivate sono state a dir poco contrastanti. In tanti, tra di loro, sono stati provinciali e irresponsabili. Siamo passati da: è un influenza, non abbiate paura; a attenzione è il peggior virus degli ultimi 500 anni. Frasi dette dalle stesse persone a distanza di una settimana. Abbiamo avuto giornali che hanno IRRESPONSABILMENTE pubblicato le bozze dei decreti di allargamento della zona rossa a tutta la Lombardia, prima che il governo organizzasse delle procedure di contenimento alle stazioni e agli aeroporti, ottenendo il risultato che parecchi IRRESPONSABILI, hanno preferito prendere un treno o un aereo e uscire dalla Lombardia. Questo gesto sconsiderato sicuramente avrà delle conseguenze, ma se è vero che i responsabili sono tutti quelli che si sono spostati, è anche vero che chi ha provveduto a spargere le notizie solo per il gusto dello scoop ha, se possibile, maggiori responsabilità. Questi giorni a casa con la famiglia, sono duri. La mente viaggia e cerca di elaborare quelli che potranno essere i futuri scenari. Personalmente sono ottimista. Certo è che la spallata data alla nostra già fragile economia non sarà facile assorbirla, ma è anche vero che le economie si sostengono anche con le propensioni al consumo. Quello che ci sta capitando è molto simile ad uno scenario post bellico. Dopo ogni guerra c’è voglia (ma anche necessità) di ricostruire. In questi frangenti rimboccarsi le maniche è indispensabile. Non mi è piaciuto il comportamento dell’Europa. Noi siamo visti sempre come casinisti disorganizzati, ma invece questa volta abbiamo dimostrato: disciplina e ordine, anche nel prendere delle decisioni che, in molti, hanno difficoltà a prendere. Nazioni come Francia, Stati Uniti d’America, ma anche Gran Bretagna e Spagna, stanno rimandando decisioni che, anche osservando l’esperienza Italiana, avrebbero dovuto e potuto prendere per tempo. Mi è piaciuto molto una post di una donna Belga, che, da osservatrice esterna ha fatto un post molto carino, che la racconta lunga su come ci vedono all’estero e su che invidia hanno gli altri di noi:
“ L’ Italia è come quella tipa che ha più talento di tutti, è come quella che le altre se le mangia, perché è nata bella, più bella di tutte e le altre se le asfalta. L’ Italia è come quella più ingegnosa, che ha le mani di una fata, che si inventa mille cose, perché è piena di risorse. Sa discutere di storia, di mare, di montagne, sa di cibo, di buon vino, di dialetti, di pittori, di scultori, di scrittori, di eccellenze nella scienza, non c’è niente che non sa. E quando questa tipa bella e talentuosa inciampa e cade, la platea delle sfigate esulta. È la rabbia delle poverine ingelosite, quelle al buio, perché lei è comunque bella anche quando cade a terra. Ma l’Italia è una tipa con stivale tacco 12, ovviamente made in Italy, che nessuna sa portare meglio di lei… solo il tempo di rialzarsi.”
Noi nel frattempo a casa facciamo quello che si può fare. Stiamo in famiglia, guardiamo la tv, facciamo sport, lavoriamo anche se a ranghi ridotti, portiamo il cane fuori. Mi mancano gli Amici, quello si. Sicuramente è anche un momento per stare con noi stessi. Capire quante cosa abbiamo e che diamo per scontato. Forse questo disastro ci farà vedere, con occhi diversi, con occhi consapevoli, quello che succede, anche non lontanissimo da noi. Nonostante tutto siamo fortunati.
Pensieri in tempo di COVID-19.
Siamo un popolo fantastico. Di qualsiasi argomento si parli, ognuno di noi diventa improvvisamente: allenatore, ingegnere spaziale, epidemiologo, navigatore, sismologo. Do ogni cosa che succede intorno a noi, e non solo, l’Italiano medio sa. Ho sempre pensato che questa nostra “inclonabile” caratteristica dipendesse da un mix di due componenti del nostro DNA: l’approssimazione e l’essere degli artisti. In fondo in fondo, ognuno di noi nasce in uno stato approssimativo, ma pieno zeppo di arte. L’arte ci circonda in ogni campo: nel design, nell’arte, nella moda, nell’artigianato. E di queste due caratteristiche noi ci contagiamo, irrecuperabilmente, già da piccolissimi. Ovviamente su un argomento come quello del Corona Virus, l’italiano medio non poteva esimersi dal dichiarare la propria verità. E ogni verità è più vera dell’altra. E quindi c’è chi da la colpa ai cinesi, chi da la colpa ai politici, chi vede le aziende chimiche aver prodotto un simile e nefasto virus. La verità vera, è che in pochi ne sanno qualcosa. In pochi sanno quanto realmente grave è o sarà questa cosa. E quei pochi, come accade spesso, non gli viene data la parola. Da parte mia penso e reputo che vada messa in moto tutta la macchina sanitaria, al fine di scongiurare il peggio. E se questo significa stare a casa, stiamocene a casa. Se questo significa che le scuole debbono chiudere, o che non si giocheranno le partite di calcio, facciamolo. Facciamo in modo di prendere tutte le precauzioni del caso, senza paura e senza strumentalizzare una cosa così grave. Un popolo può dividersi su tante cose, ma poi c’è un momento in cui si deve essere uniti. Solo uniti si possono vincere le battaglie, le guerre. E questa è peggio di una guerra, perchè il nemico non si vede, è invisibile. Da par mio, posso fare solo qualche considerazione che vuole avere solo lo scopo di ragionare, di mettere un pò di logica in questo momento che può avere degli ovvi e irrazionali risvolti incomprensibili e disordinati. La domanda che mi frulla per la testa è: che senso ha chiudere le scuole, quando poi i genitori degli alunni che sono stati costretti a rimanere a casa, s’incontrano in ambienti molto popolosi come ministeri, tribunali, uffici pubblici? Perchè oltre alle scuole chiuse, che trovo un provvedimento giusto e prudente, non seguono dei provvedimenti che limitino ulteriormente il contatto tra persone? Tutto ciò inoltre non può essere non supportato da delle specifiche azioni che diano tranquillità all’economia in tutta la penisola. Ci sono alberghi che stanno subendo la disdetta delle prenotazioni in massa, il commercio è in ginocchio, le aziende e le partite iva sono al collasso. Bisognerebbe creare un paracadute sociale molto ampio, che permetta, quando sarà ora, di ripartire tutti. Questo è un momento duro e lo ricorderemo molto a lungo, ma è anche uno di quei momenti dal quale una nazione può rialzarsi meglio e più forte di prima. Di una triste cosa però sono sicuro. Questo dramma sarà strumentalizzato. E questo ci farà riprecipitare nel provincialismo della nostra bella nazione. Bella, ma incapace di fare squadra come altre nazioni fanno in momenti come questi.
Le bombe, le risate e il mio nuovo superoe.
Penso e ripenso al coraggio di quel padre (Video del papà superoe) che, in mezzo ai rumori dei bombardamenti Siriani, ha la forza, il coraggio, di cercare una strada per far star tranquilla la sua bambina. L’espediente è stato quello di far passare il bombardamento vicino come una cosa buffa. Ha fatto credere alla figlia che ogni bomba potesse trasformarsi in una bella, grassa e grossa risata. Penso e ripenso a che posto fantastico sia, o forse era, la Siria e che popolo amichevole sono i Siriani. Ricordo una partita a Backgammon in una piazza di Aleppo contro un ragazzo appena conosciuto. Uno dei più bei viaggi che ho mai fatto in vita mia. La Siria, forse, è (o era) seconda solo all’Italia in quanto a bellezze storiche. Questa guerra sta durando troppo. Questa guerra sta distruggendo un posto che è la culla del mondo, nel vero senso del termine. Non capisco più perché continui, non ricordo quasi più perché è iniziata. A volte penso che viviamo in un mondo sbagliato, per noi ovattato per atri troppo duro. Ho letto che sono state torturate più di 14.000 persone, per lo più innocenti da quando è iniziato questo conflitto. Sono morte oltre 100.000 persone in questa assurda guerra. In quella piccola parte di mondo sono si stanno spartendo dei territori, i pozzi di petrolio e intanto un padre è costretto a far sorridere la figlia mentre i bombardieri sganciano delle bombe. Una di quelle bombe potrebbe annientare quella risata, potrebbe fare altre vittime. Una guerra non ha mai nulla di buono, ma una guerra così lunga combattuta, per lo più, per cause esterne agli interessi di quel popolo, dei Siriani è sconvolgente. Mi toglie il sonno il pensiero di quei sorrisi, di quelle risate rubate. Per me quel papà, di cui non conosco neanche il nome, è il mio nuovo supereroe.