Roma fa schifo perchè è la città più bella del mondo, è il posto dove tutti vogliono venire, almeno una volta nella vita. Abbiamo monumenti, clima ottimo, cibo come in nessun altro posto al mondo. Eppure Roma fa schifo. Fa schifo perchè fa schifo l’Italia. E girando ieri sera per Roma ho potuto constatare che questa eterna contraddizione: bellezza contro schifo, ora non sia più camuffabile. Non possiamo più continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto. Ho un figlio di 17 anni e pensare che possa capitargli qualcosa di brutto mi paralizza. Ieri passeggiando e osservando i suoi coetanei “spensierati” parlare, scherzare, ridere tra di loro, non ho potuto fare a meno di pensare all’omicidio del giovane Luca Sacchi, ma anche a Manuel Bertuzzo, rimasto paralizzato per colpa di una pallottola che non doveva essere la sua. Due giovani che hanno avuto la vita o il futuro segnato perchè noi adulti non siamo stati in grado di difenderli. Come dovrebbe fare un padre di famiglia. Ieri Roma era sporca, si percepisce che non è più sicura come un tempo. Si ha l’impressione che la città sia, in un certo senso, abbandonata a se stesa. Roma fa schifo perchè è bellissima. Roma fa schifo perchè noi facciamo schifo. Chiunque di noi non s’impegna ogni giorno per rendere la nostra città, il nostro mondo migliore fa schifo! Chiunque getta una sigaretta a terra o butta un pezzo di plastica nel mare. Fa schifo chi si lamenta e poi parcheggia davanti ad una rampa per l’accesso dei disabili. Facciamo tutti schifo perchè se l’Italia versa in queste condizioni è forse perché non ce la meritiamo. Ieri passeggiando per Roma mi sono sentito usato, gestito, manipolato. Usato dalla politica, gestito da chi comunica, manipolato per far si che potessi pensare che la colpa sia della Raggi o di Marino o di Alemanno oppure di Veltroni e Rutelli o di tutti i Sindaci che hanno governato Roma, la capitale del mondo, negli ultimi anni. Loro sono i nostri rappresentanti. Coloro che noi abbiamo mandato a rappresentarci. La colpa di tutto questo degrado, del fatto che abbia paura che a mio figlio gli possano sparare in testa è nostra. Solo nostra. Roma non fa schifo…siamo noi che non la meritiamo, siamo noi che l’abbiamo ridotta così.
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Torino si, Roma no.
Questa è una cosa che a me fa impazzire. Mi piace lo sport e penso che le olimpiadi ne siano la massima espressione. Le Olimpiadi sono è la prova che c’è qualcosa di buono nel mondo. Dentro un’olimpiade ci sono storie, ci sono fatiche, ci sono sogni, c’è una concentrazione di tutto quanto, chi è appassionato di sport, possa desiderare. Si passa dal tennis all’atletica; dal calcio al basket; dal nuoto alla scherma. In poca distanza si concentrano una quantità di atleti incredibile. Poi c’è quello che viene chiamato lo spirito Olimpico. Una percezione intangibile ma che si respira nell’aria. L’ho potuta annusare a Torino, nel corso delle Olimpiadi invernali del 2006. Ognuno di noi ha un ricordo Olimpico. Il mio è l’oro Olimpico di Alberto Cova a Los Angeles, nel 1984. Quell’Olimpiade l’ho vista quasi tutta con mio zio Luciano. Intorno all’organizzazione di un’Olimpiade ovviamente girano: soldi, affari, corruzione. A Roma abbiamo avuto la possibilità di poter ospitare le Olimpiadi del 2024. Nulla di scontato, ma, con buona probabilità avremmo potuto spuntarla contro altrettanto agguerrite città ospitanti. Questo avrebbe comportato un miglioramento degli impianti sportivi, quasi tutti vetusti; un ammodernamento di strade, arterie e mezzi pubblici, che avrebbero dovuto facilitare i collegamenti con gli impianti che avrebbero ospitato gli eventi; un indiscutibile indotto economico, mosso dal turismo sportivo e non solo. L’attuale amministrazione comunale ha preferito non partecipare. La motivazione? Troppi soldi avrebbero generato corruzione e malaffare. A me è sembrato da subito una stupidaggine pazzesca. Di politica, si sa, ci capisco poco; di economia, ancora meno, ma vedermi sfumare sotto gli occhi la possibilità di gustarmi qualche bella partita di basket con parecchi giocatori provenienti dalla NBA, mi ha urtato. Ha infastidito anche Filippo al quale ho faticato tanto a spiegare il perchè Roma si sia ritirata. C’ho messo un pò, ma alla fine me ne sono fatto una ragione. Il paese nel frattempo si è spaccato in due grosse scuole di pensiero: quella che asseriva che sarebbe stato giusto farli; quella che ritiene che hanno fatto bene a non farli fare. Non si è ancora spento l’eco di quella declinazione, che, notizia di qualche giorno fa, Torino candidata alle olimpiadi invernali del 2026. Amministrazione guidata dallo stesso movimento politico, decisione diametralmente opposta. A Roma non si sono fatte, a Torino, sembrerebbe essere, una grossa opportunità. Ovviamente ho le mie idee e penso che chi si candida a governare: un paese, una città, una nazione o l’universo, debba essere in grado di farlo. Non si possono buttare nel cestino, per non dire un altro posto, opportunità di crescita e di sviluppo perchè non ci si sente in grado di gestire un processo, anche se complicato, come quello dell’organizzazione di un’olimpiade. Ma di due l’uno: o era giusto che Roma partecipasse all’assegnazione della sede per il 2024, oppure è sbagliato che Torino si candi per le olimpiadi invernali del 2026. Un pò di coerenza non guasterebbe. So già però che anche questa sarà una domanda senza risposta.
L’Addio di Totti visto da uno juventino.
E’ banale, ma se si è appassionati di uno sport ci si appassiona anche agli attori principali. Ieri si è chiuso un capitolo e mi sono ritrovato a commuovermi anche io vedendo quello stadio pieno; mi sono commosso anche io guardando quel ragazzo con gli occhi lucidi e la famiglia al seguito che salutava il suo pubblico; mi sono commosso anche io a sentire quelle parole cariche di sentimento, di passione, di pathos. Mi sono commosso all’ultima partita di Alessandro Del Piero, e mi sono commosso ieri per il saluto di Francesco Totti. Vedere quel ragazzone nato da una famiglia modesta, che ha coronato il sogno di una vita dire di: “avere paura”, si mi ha commosso. E’ stato un grande campione, che ha avuto l’enorme merito, o l’immensa debolezza, di giocare per 25 stagioni con la stessa squadra essendone, e diventandone, l’artefice principale sia dei successi, che degli insuccessi. Comunque la si vede, è stato sportivamente un gigante assoluto. Astuto e intelligente in campo; astuto e intelligente nella vita. E’ sempre riuscito a far fruttare al meglio, nel rettangolo di gioco, le proprie qualità e ad azzerare le proprie debolezze; la stessa cosa ha fatto nella vita. Mi racconta chi lo conosce di come sia un uomo impagabile; mi raccontano i suoi avversari che in campo non aveva il minimo fair play. Eroe per qualcuno, il contrario per qualcun’altro. Finito tutto il turbinio di emozioni però ho riflettuto su quanto invece questo ragazzo sia stato fortunato. E’ riuscito a massimizzare, forse, l’unica vera occasione che la vita gli ha fornito. E ora è un quarantunenne: ricco, bello e senza nessun problema apparente. Può godersi il resto della sua esistenza in assoluta tranquillità e serenità, godendosi famiglia e ricchezza. Continuerà a guadagnare una valanga di soldi, semplicemente firmando autografi, o partecipando a qualche trasmissione, oppure mettendo la propria immagine a disposizione per questo o quel brand sportivo. Ad un tratto mi è passata la commozione. Ho improvvisamente trovato strano vedere tutta quella gente che piangeva e si emozionava. Ho percepito chiaramente che la sua forza, la sua ricchezza, sono proprio le nostre emozioni. Sicuramente è un ragazzo che merita umanamente, come meritano altri campioni che ho visto congedarsi dai loro sport. Mi ricordo: Del Piero, Michael Jordan, Kobe Briant. Ma se li osservo ora, vedo solo i loro grandi gesti sportivi, non riesco ad emozionarmi per altro. Il tempo rende sempre la giusta dimensione delle cose. Forse fra qualche mese, o forse fra qualche settimana, quello che abbiamo provato per l’addio di colui che abbiamo reso noi una specie di divinità, ci farà sorridere. Un pò come quando vediamo un bel film e poi ci commuoviamo. A ripensarci dopo qualche tempo ci sentiamo un pò stupidi. Questo però non deve mettere in dubbio il fatto che Francesco Totti sia stato uno dei più grandi campioni di tutti i tempi. Ma a ripensarci un pò a mente fredda, sarebbe il caso che ci emozionassimo per cose per le quali valga veramente la pena. E’ vero, sono juventino, ma l’addio di un calciatore, anche il miglior calciatore, dovrebbe essere catalogato nelle cose “banali”, non decisamente tra quelle importanti nella nostra vita. E’ lecito emozionarsi, ma non è lui che deve avere paura. A lui il fato ha dato un’occasione che solo a pochi eletti è permessa. Noi possiamo avere paura, noi abitanti della vita di tutti i giorni. A noi solo deve essere concesso avere paura.
Bisogna andare avanti.
Ieri ha aperto i battenti la Nuvola di Fuksas. Dopo 18 anni dall’inizio del progetto; dopo 8 anni di cantiere; dopo mille scandali su questa opera; dopo tanti soldi spesi e sicuramente anche sprecati, ha aperto il centro congressi che porterà all’EUR, tantissimi curiosi, tantissime aziende per fare i loro eventi e, mi auguro, tante idee per stimolare la voglia di cultura, di novità. Io percepisco Roma, ma più in generale l’Italia un paese fermo e sentire che vengono inaugurate cose nuove e belle, mi generano eccitazione. Ma non quell’eccitazione stupida che prende senza motivo, è un’eccitazione legata alla percezione che è avvenuta qualcosa di bello per tutti. Come quella bella sensazione che prova quando si fa una buona azione. Noi dobbiamo ripartire. Dobbiamo cercare qualcosa che renda ancora più bello il nostro paese. Creare cose belle può essere una soluzione. Può essere di aiuto. Mentre scrivo il centro Italia è sconquassata dai terremoti. Questa mattina ci siamo svegliati con la terra che tremava e, e mentre qui da noi a Roma è stata solo tanta paura, a Norcia, a Cascia e in altre zone dell’Umbria, delle Marche e del Lazio, cadevano pezzi di storia. Cadevano pezzi della nostra storia. Non potremo più vedere alcuni nostri bellissimi borghi, così come eravamo abituati a vederli da secoli. Non potremo più vedere più alcune: chiese, basiliche. Vedere le crepe nella piazza di Norcia mi ha lasciato senza fiato. Dobbiamo ripartire.
Dobbiamo andare avanti. Dobbiamo raccogliere le forze, cercare di mettere in sicurezza il nostro patrimonio, ma non possiamo ne dobbiamo fermarci. Mi piacerebbe che venisse coltivato il bello, il buon gusto e non dovermi preoccupare che ogni cosa, anche una nuova struttura, venga sporcata dalle strumentalizzazioni politiche di chi dice che in Italia non si può far nulla. Dobbiamo combattere questa mentalità che, pian piano ci stanno instillando. Noi ce la possiamo fare, noi ce la dobbiamo fare. Dobbiamo cercare di lasciare ai nostri figli un posto più bello di come ce lo hanno lasciato i nostri padri. Tutto questo passa per: l’impegno, la voglia di fare, ma anche e soprattutto su un repentino cambio di mentalità. Un cosa di buono che noi abbiamo, e che tutti c’invidiano, è l’ottimismo. Non ci facciamo rubare questo nostro spirito. Tutto quello che sta succedendo ci deve servire da monito, da esempio. Colgo nell’inaugurazione di una nuova struttura poche prima della devastazione che il terremoto ha causato un segno del cielo, uno spunto di riflessione. La rabbia, l’angoscia, i luoghi comuni vanno buttati alle nostre spalle. Bisogna andare avanti.
Anche se sei stonato.
La serata ieri sera, prima di entrare in teatro, è iniziata con Marco Presta che mi ha “fregato” il parcheggio fuori al teatro. Ottimo inizio direi, anche perché quando, scherzando gli ho fatto notare che sarei andato a teatro a vederlo, e non era “giusto” che mi avesse preceduto nel parcheggio, la sua risposta è stata: “Peggio per te!!”. Ecco ieri abbiamo iniziato a ridere prima di entrare in teatro. Penso che una trasmissione radiofonica, non duri venti anni, in RAI, senza motivo. Bisogna essere bravi, bisogna essere intelligenti nel sapersi evolvere, adattare ai cambiamenti della società. La gang de “il ruggito del coniglio”: Marco Presta, Max Paiella e Attilio Di Giovanni hanno portato in scena, al teatro Olimpico di Roma, una commedia: brillante, piacevole, intelligente, colta e con moltissima musica. Tre ore di risate, condite insieme da un cast spumeggiante e accompagnato dalle musiche del duo Paiella-Di Giovanni, con l’inserimento di un bellissimo gruppo di archi. La storia gira intorno ai due protagonisti: Valerio (Max Paiella), squattrinato gestore di un locale di musica dal vivo, nel quale si fa anche scuola di canto, e Giacomo (Marco Presta), depresso professore universitario che, dopo essere stato lasciato dalla moglie, viene invitato dallo psicanalista a frequentare la scuola di canto di Giacomo. Tra i due, donnaiolo l’uno, perdutamente innamorato della moglie fedifraga l’altro, s’instaurerà un rapporto decisamente unico ed insolito. Brave anche le due attrici a supporto, che si sono integrate alla perfezione con l’affiatassimo trio che lavora da anni insieme in radio. Inutile svelare la trama o il finale, va solo detto che lo spettacolo fila via veloce ed è divertentissimo. Bravo Marco nella scrittura della sceneggiatura, bravi gli artisti Paiella e Di Giovanni nella produzione musicale e dei testi.
L’incidente di Fiorello, e la strana reazione di molti.
Rosario Fiorello, in arte Fiore, ha avuto un incidente a Roma. Finita la quotidiana puntata di “Edicola Fiore”, ieri mattina, mentre percorreva via della Camilluccia sul suo scooter, ha investito un pedone sulle strisce pedonali. Questo signore si è fatto molto male e, insieme a Fiorello, è finito in ospedale. Entrambi sono entrati al pronto soccorso con codice rosso. Fino a qui nulla di strano. Lo show man era sobrio, non ha fatto manovre particolarmente azzardate, si è solo distratto ed ha cagionato danni: ad una persona, oltre che a se stesso. Mi piace Fiorello. Ogni mattina, mi sveglia con il suo programma. Edicola Fiore, lo reputo un programma radiofonico: intelligente, veloce, molto ironico e mai volgare. Ho la sveglia puntata su Radio due alle 6:45 e Fiore, insieme a Baldini, è sempre li con l’anteprima dell’Edicola. Quando poi esco per andare ad accompagnare mio figlio a scuola, la sua Edicola mi fa iniziare la giornata con un sorriso. Ho un account twitter, che non uso moltissimo, ma stasera volevo dare la mia solidarietà a chi mi fa spesso sorridere ed ora sta soffrendo. Ho trovato una marea di post sulla disparità di trattamento tra: Fiorello e il signore investito. A me dispiace per quest’ultimo, e mi auguro con tutto il cuore che si riprenda presto, e senza conseguenze, ma allo stesso tempo non si può condannare, o etichettare come un assassino, chi ha cagionato un incidente in moto, per altro, uscendone ferito e, da subito, riconoscendosi colpevole. Penso sempre di più che alcune persone, pur di apparire, pur di fare la voce fuori dal coro, riescano ad elaborare degli atteggiamenti, a dir poco, assurdi. Mi sembra chiaro che la popolarità di una persona influisce sull’opinione pubblica. Fa notizia che un personaggio pubblico abbia avuto un incidente, ma questo non significa non ci sia apprensione per l’altro malcapitato. Inoltre Fiorello si è sempre distinto per simpatia e genuinità, e quindi molte persone sono legate a lui, gli vogliono bene. E’ un po’ come se avesse un incidente un nostro caro. Saremmo preoccupati per lui, e vorremmo che si riprendesse, indipendentemente dalle condizioni delle altre vittime dello stesso incidente. Colpa o ragione, se un nostro caro avesse un incidente tutte le attenzioni sarebbero per lui. Mi sembra così naturale. Un personaggio pubblico come Fiorello, simpatico e che sa come far breccia sulla gente, ha una marea di persone che le vogliono bene. Per tanti, Fiorello è un loro caro. La riflessione che ho fatto è quella che, alcuni sconosciuti, per ottenere un briciolo di quella popolarità che così tanto osteggiano, sarebbero disposti a dire e a fare qualsiasi cosa, e anche il suo contrario. Magari lucrando sulle disgrazie e sulla salute altrui. Forza Fiorello, torna presto a farci iniziare presto la giornata!!
Osvaldo, un’altra scommessa.
Pablo Osvaldo, classe 1986, carattere difficile e talento cristallino. Questa è la definizione che ne do, e che ne davo anche quando militava alla Roma. Prima dell’arrivo di Tevez e Llorente, era l’attaccante che mi sarebbe piaciuto avere alla Juventus. Ora è arrivato. E’ ovvio che ho mille dubbi in proposito. Nella Premier League non si è mai ambientato, e per un giocatore che vuole fare il mondiale brasiliano, non è certo il massimo. Di certo c’è che ha un pessimo carattere, e non è uno che unisce lo spogliatoio. A Roma, dopo un arrivo a suon di colpi di classe e goal, non ha lasciato il segno. I compagni, a poco a poco, lo hanno messo ai margini del gruppo, e lui è stato costretto ad andare via, con estrema gioia di chi ha aveva in mano la cassa dei giallo-rossi. Al Southampton, è stato subito etichettato come capriccioso ed irritabile e gli inglesi, rigidi, ed amanti della gerarchia, non lo hanno mai fatto sentire a proprio agio. Ora arriva a Torino, con una formula finanziaria che a me piace, soprattutto per uno con il suo “caratteraccio”: prestito con diritto di riscatto fissato. Da febbraio a giugno, l’attaccante italo-argentino, dovrà dimostrare un sacco di cose. La prima che è maturato: come uomo e come calciatore; la seconda che Prandelli non potrà fare a meno di lui; la terza, che può convivere in uno spogliatoio; e la quarta, ma questa vale soprattutto per se stesso, che può essere un giocatore determinante e sul quale una società possa fare degli investimenti di lungo periodo. Se manterrà queste promesse, a giugno, verrà certamente riscattato, ed avremo un altro talento puro a Torino. Reputo che la Juventus, ed: il suo ambiente, la sua società, il suo stile, possa essere d’aiuto a questo ragazzo, ed il talento di Osvaldo potrà essere di certo uno spunto in più per la Juve.
Juve Roma, un altro capitolo.
Quest’anno Juve Roma era attesa, se possibile, di più do ogni anno. La Roma arrivata dall’ottima partenza, con il record di vittorie consecutive, e forte del secondo posto, direi meritato. La Juve, dopo l’uscita dalla Champions League, motivata a non mollare nessun ulteriore obiettivo, e decisa ad incrementare la striscia di vittorie consecutive in campionato (nove prima di domenica). I presupposti c’erano tutti e, a mio modesto parere, la partita è stata all’altezza delle aspettative, almeno fino ai primi quindici minuti del secondo tempo. Le due squadre si sono affrontate alla pari, come da copione. Partita maschia, senza esclusione di colpi, ma la differenza, secondo me, l’hanno fatta due fattori: lo Juventus Stadium, e la fragilità mentale della Roma. Il primo, non da oggi, da una carica ai bianconeri difficilmente arginabile. In pochi hanno vinto in quello stadio, e con moltissima fatica. Sul secondo fattore c’è molto da lavorare. La forza psicologica arriva solo con la certezza e la consapevolezza delle proprie forze. Non è sempre colpa di qualcun altro se si perde. Si deve lavorare a testa bassa e provare, riuscire, a vincere. Anche nello sfottersi, i tifosi romanisti fanno sempre riferimento a “scuse” sul perché si perde, e non cercano mai di enfatizzare le enormi capacità che la propria squadra possiede. Un giorno l’arbitro, un altro il doping, un altro ancora gli aiutino. Questo secondo me è un limite mentale che si ripercuote, si trasferisce, sulla squadra, e quindi sui risultati. I tifosi non dovrebbero fornire alibi ai giocatori e alla società. Mai. Qui a Roma c’è sempre la moda di scaricare le responsabilità, e mai andare ad analizzare il problema alla radice. Ma questo è anche un male tutto italico. Ma tornando alla partita, al di la del risultato, bellissima serata di sport. Si sono battute due squadre forti e, forse, alla fine ha prevalso solo la migliore organizzazione globale. Nell’assenza totale delle Milanesi, è bello vedere: Roma e Napoli cercare di fronteggiare la Juventus. Ha il sapore antico di bellissime sfide.
Bruce and Legend…
Scrivo con molto ritardo, ma il momento è quello che è. Sempre di corsa. Ma non è solo questo il motivo, ho avuto bisogno di smaltire la settimana di emozioni che ho trascorso. In pochi giorni ho esaurito tutti i concerti di questa estate. E pensare che ne avrei voluti vedere anche altri. I Depeche Mode, Mark Knopfer, avrebbero completato la collezione 2013, ma non ce l’abbiamo fatta. Gli impegni, e il costo sempre meno accessibile dei concerti ha vinto sulla voglia di musica. Certo che l’abbinamento non è stato per niente male, e gli artisti che abbiamo ascoltato, da annali. Siamo riusciti a vedere John Legend a Perugia e Bruce Spingsteen a Roma. Artisti e generi molto lontani tra loro, ma accomunati da una enorme personalità e professionalità. Risultato?? Due eventi che mi porterò nel cuore, oltre che nella memoria. Il primo si è svolto a Perugia, nel cuore del Umbria Jazz festival, nella cornice dell’Arena di Santa Giuliana. Un posto suggestivo e ben organizzato, degno della classe dell’artista. Legend si è presentato sul palco puntualissimo e ha deliziato il pubblico con tutti i suoi cavalli di battaglia, dando molto risalto al passato e facendo solo una brevissima panoramica sull’ultimo album. Ordinari people, green light, Save Room, hanno fatto ballare tutti i presenti, che hanno saputo offrire il giusto silenzio ai brani cantanti e accompagnati solo dal suo piano. Molto apprezzata una cover, che non gli avevo mai sentito fare: Dancing in the Dark, del Boss, che ci ha catapultato al concerto che avremmo visto il giovedì successivo. Certo Legend l’ha cantata con un’energia diversa di quella di Springsteen, ma altrettanto apprezzabile. Legend ha dato anche un assaggio di un brano: Made to Love, che sarà nel disco che uscirà il 3 settembre. Legend ha saputo, come sempre, rendere l’atmosfera magica e far apprezzare le sue doti anche a chi, come Daniela, non lo conosceva a fondo. Il giorno dopo ci siamo presi una pausa da tutto e da tutti, abbiamo dormito a Perugia, e il giorno dopo abbiamo visitato Pienza. Dal mercoledì eravamo già carichi per il concerto che avremmo visto il giovedì. Solo ascoltare i brani di Springesteen da una carica incredibile, figuriamoci ascoltarli, con la prospettiva del concerto. Ho sempre un po’ di perplessità quando vado a vedere i concerti a Capannelle. Roma meriterebbe molto di più, ma soprattutto meriterebbero di più gli artisti che ospita. Comunque tra qualche acquisto, un panino e una birra, il tempo passa. La montagna di gente davanti al palco è enorme, e il caldo si fa sentire. Nel pomeriggio aveva piovuto, quindi era la classica serata umida romana.
Quando le luci del palco si sono accese e Bruce è uscito, c’è stata un’ovazione. Il Boss ha un feeling particolare con il suo pubblico, e la varietà era enorme. C’erano bambini di dieci anni, o giù di li, e anziani signori. D’altronde Springsteen è del 1949. È uno che ha cantato con Dylan, con i Rolling Stones, e mentre erano al massimo. Lui nei fantastici anni ’70 c’era ed era già grande. Ma c’era anche negli anni ’80, e così via sino ad oggi. Il concerto è fuggito via veloce. Tutti i suoi successi, nessuno escluso, ed a un certo punto è saltata anche la scaletta. Il suo volere sentire il pubblico addosso, gli ha fatto venir voglia di accontentarlo. Le canzoni erano dettate in base ai cartelli che il pubblico tirava fuori. Una band perfetta, che non si è fatta cogliere di sorpresa ed ha saputo accontentare il suo vecchio gigante. Il fisico tonico gli ha permesso di cantare, correre e suonare come non avevo mai sentito fargli. Born in the USA, Darlington County, Born to run, Bobby Jean, Dancig in the Dark, e tutte le altre. Tre ore di musica carica di energia, di voglia di stare li in quel momento a fare proprio quello che stava facendo, cantare davanti al suo pubblico. Non una sbavatura, la sua Fender lo ha seguito anche nelle pennate più energiche. La riprova che quello di giovedì scorso è stato un concerto mitico, sono stati proprio i suoi sorrisi. I sorrisi che un uomo dalla voce potente, dal fisico che potrebbe far invidia ad un teenager, un uomo che sembra spaccare la chitarra ad ogni pennata, rilevavano la dolcezza che c’é dentro ad ogni canzone. La dolcezza che ha dimostrato nel tributo finale a Clarence Clemons, suo amico, e compagno di mille concerti. Mentre scrivo, e sono passati quattro girini, ho ancora i brividi. Tutta la serata, tutto il concerto è stato un brivido lunghissimo.
Ceneromane: quando i romani aprono la propria casa ai turisti
Bellissima idea…da sperimentare!!!
Una cena tipica romana… a casa dei romani. E’ questa l’idea proposta dalla piattaforma Ceneromane, che ha fatto sbarcare nella Città Eterna l’homerestaurant su iniziativa di Daniela Nurzia, ispiratasi alla tradizione dei Paladar cubani, quando, nei tempi dei castrismo, la popolazione ospitava i turisti nelle proprie case per poter avere contatti con loro. L’ideatrice ha spiegato che si tratta anche di un’esigenza pratica: “con la crisi molti lavori sono venuti meno e si fa fatica ad arrivare a fine mese così ho aperto prima la mia casa agli ospiti e poi si sono aggiunti i miei amici, certamente non diventiamo ricchi ma con le cene a pagamento possiamo permetterci una vacanza in più o pagare il college ai figli.” Ecco allora che ai turisti basta scegliere l’abitazione che preferiscono, il menù e la data per poi passare al pagamento, se la casa è libera quel giorno, con Pay pal…
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