#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 39

unnamedSono passati tanti giorni. L’economia è al collasso. Non è ancora tempo di fare bilanci, non è tempo di avere paura, ma qualche confronto è umano che venga fatto. La Germania, scaltra e anche un pò falsa, ha però una cosa che ha funzionato meglio di noi: l’impianto sanitario. Il minor numero di morti è un dato incontrovertibile, anche se un pò annacquato, ma che deriva dal fatto che hanno oltre 40.000 terapie intensive contro le 5.000 italiane. E’ altrettanto incontrovertibile che questa malattia, se presa in tempo, può essere sconfitta, e noi, in Italia, abbiamo giocato sempre di rimessa, sempre gestendo l’urgenza. Chiunque, nel mondo, abbia potuto intervenire prontamente contro il virus, ne è scampato, indipendentemente dall’età. Tante persone famose, anche se avanti con gli anni, ne sono uscite. Negli anni la dismissione del nostro apparato sanitario, complesso e costoso, ha fatto cilecca. Avevamo un sistema sanitario pubblico all’avanguardia, ma ora ne rimane solo l’idea. Abbiamo visto che il così detto sistema Lombardo ha semplicemente fallito. Un fallimento senza se e senza ma. Mi vengono i brividi solo a pensare se i numeri della Lombardia, del Piemonte o del Veneto, fossero capitati al sud o anche al centro. Avremmo avuto, presumibilmente, molti più morti. A questo disastro, aggiungerei anche la totale incompetenza della nostra classe dirigente. Siamo in mano a persone non all’altezza. La politica funziona se riesce a contornarsi di tecnici all’altezza, di menti geniali che possano dare una svolta al loro operato. La politica dovrebbe dare solo un indirizzo. L’Italia nel calcio è famosa per il gioco di rimessa e ripartenza. Una difesa arcigna, che permette giocate in contropiede orchestrate da tanti nostri bravi fantasisti, penso a: Del Piero, Totti, Baggio e tanti altri. Abbiamo vinto tante coppe del mondo con questo gioco. Mi viene il dubbio che il nostro modo di giocare a calcio sia sintomatico di un nostro modo d’essere, di comportarci, di vivere la vita. Noi ci difendiamo e poi ci affidiamo a qualche essere eccelso che mantiene alto il nostro onore. La questione della pandemia l’abbiamo gestita proprio così. Ci siamo difesi, malamente e senza strumenti, affidandoci a dottori e infermieri competenti, ma senza armi. L’economia affidata a un manipolo d’improvvisati che hanno fatto proclami e puntualmente sono stati smentiti dal sistema e dall’apparato che gestiscono: vecchio e inefficiente. Persone vere in carne e ossa, rimaste appese a questo o a quell’aiuto senza avere risposte. Sono passati quasi due mesi e ancora del tempo dovrà passare. Sento parlare della riapertura della scuola i primi di settembre. Secondo me anche questo è sbagliato. Capisco che si voglia far recuperare i ragazzi, ma noi in Italia abbiamo un settore, quello del turismo, che è fondamentale per la nostra economia. Certo non è tempo di pensare alle vacanze, ma far riaprire le scuole il primo di settembre darebbe una spallata, forse mortale, ad un settore in estrema difficoltà. Vieterebbe a delle famiglie, che potrebbero concedersi delle ferie in settembre di doverci rinunciare. Tutto a discapito del settore turistico e alberghiero. Una nazione dovrebbe essere un corpo unico che deve funzionare in modo armonico e strutturato. Qui sembra che ognuno vada per proprio conto, senza un filo logico. Certo dovrebbe esserci un direttore d’orchestra degno, ma probabilmente Conte, il nostro premier, non è all’altezza di prendere questo tipo di decisioni. Senza buttargli la croce addosso perché la situazione era, ed è, difficilissima da gestire, ma l’adeguatezza è una caratteristica che questo premier forse non ha dimostrato di avere. Forse un pò figlio di questa classe politica che al suo interno ha una schiera di miracolati, senza competenze, messi li dopo un Vaffaday. L’unica cosa certa è che di questa ferita: economica e non solo, ne pagheremo le conseguenze a lungo tutti. Se poi è vero quello che emergerebbe in merito alle responsabilità cinesi, tutto prenderebbe una tonalità molto più drammatica. Intanto fino al 4 maggio stiamo rintanati a casa, ma la vita non sarà come prima, neanche dopo.

#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 35

images-1Nei momenti critici, nei momenti buffi, o anche solo in generale in ogni cosa che succede trovo geniale tutto il mondo multimediale che si attiva e produce delle cose: simpatiche spassose, ma anche irriguardose. Mi meraviglio sempre nello scoprire quanta genialità si cela dietro a insospettabili persone dotate di una simpatia che, forse, solo dietro una tastiera riuscirebbero a tirare fuori. Nel caso della pandemia che stiamo vivendo, trovo esilaranti e ricercate le vignette animate di zerocalcare. Una satira ficcante e contemporanea con una modalità espressiva incredibile. Simpatici filmati che, forse, solo chi vive a Roma può godersi sino in fondo. Oggi non ho voglia di fare analisi o particolari elucubrazioni mentali su quello che ci sta succedendo. Sono stanco di questa situazione e vorrei che tutto tornasse vivibile. Vorrei che questo presente sospeso si trasformasse nel nostro futuro, quello che ci troveremo costretti tutti ad affrontare. Nel frattempo, mentre tutto intorno a noi si sforza di girare nel verso giusto, proviamo a farci due risate e a sdrammatizzare con lo spirito geniale di Michele Rech, in arte Zerocalcare:

Zerocalcare – la Corsa –

Zerocalcare – Rebibbia Quarantine – Interlude: il filtro quarantena –

Zerocalcare – Rebibbia Quarantine S01 Ep.01 –

Zerocalcare – Rebibbia Quarantine S01 Ep.02 –

Zerocalcare – Rebibbia Quarantine S01 Ep.03 –

Zerocalcare – Pizza Stocazzo –

Sorridete…

 

#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 29

unnamedStupido attacco tedesco all’Italia. Stupido perchè non è il momento e stupido perchè non è vero. Il quotidiano tedesco Die Welt ha titolato: “La Mafia aspetta i nuovi soldi dall’UE”. Stupido se il governo tedesco non prende le distanze. Un titolo di cui non capisco il senso in questo momento ma che mi desta due preoccupazioni. La prima preoccupazione è quella relativa all’effettiva utilità dell’Europa in momenti come questi, dove bisognerebbe fare fronte comune davanti ad un disastro come questo; la seconda preoccupazione è il livello di fiducia che hanno i nostri omologhi esteri nei nostri confronti. La prima preoccupazione è difficilmente risolvibile, solo il tempo definirà se questa “arroccata” unione ha realmente senso di esistere. Per ora facciamo parte di una collettività economica e sociale e dobbiamo rispettarne le regole e le idee. Anche se sono d’accordo sull’idea dei padri fondatori, non mi trovano d’accordo, in questo momento, ne le regole ne le modalità con le quali stiamo andando avanti. Ma dobbiamo rispettarle. La seconda preoccupazione, ossia la considerazione che hanno nei nostri confronti, è invece un tarlo che mi ronza in testa da un pò. In poche parole il quotidiano ci definisce inaffidabili e collusi con la criminalità. Questo è grave perchè quando in famiglia non c’è fiducia tra fratelli, è solo questione di tempo, ma quella famiglia è destinata a esplodere. Così in una situazione come l’Europa. Dove tutto sommato non c’è mai stata neanche tutta questa confidenza e ci siamo combattuti per secoli. Non stiamo chiedendo dei soldi per motivi futili, noi ci stiamo indebitando perchè siamo di fronte ad un disastro epocale. Una pandemia che, prima o poi, colpirà tutti. Una pandemia che sta facendo morti, senza sconti, economia quasi totalmente ferma. Ora che a noi ci facciano lezione i tedeschi, che hanno causato due guerre nel secolo scorso o che baravano sui dati inerenti l’inquinamento per vendere vetture, oppure dagli Olandesi che hanno creato un “paradiso fiscale”, drenando imposte da parte di società, anche italiane, che hanno trasferito la loro sede legale li, beh, proprio non mi va giù. Ogni nazione Europea ha delle caratteristiche intrinseche, vanno rispettate. Come vanno rispettate le capacità di far rispettare la legge all’interno di ogni stato membro. Noi abbiamo sicuramente dei problemi, ma i tedeschi e gli olandesi, ne hanno altri, forse ancora più gravi. L’Italia è lo stesso paese che si è fatto carico degli sbarchi degli immigrati, senza attendere che la nobiltà europea decidesse il futuro di queste persone. Ho amici che vivono in Germania e in Olanda. Rispetto quei popoli e mi piacciono quegli stati, penso però che il COVID-19 abbia aperto dei vasi di Pandora che sarà difficile richiudere. La saccenza e la prosopopea nel risolvere i problemi non ha mai pagato, quello che oggi è un problema di qualcun altro, domani potrebbe diventare il nostro, come viceversa. Noi senza Europa Unita saremmo in fortissima difficoltà, ma l’Europa, senza Italia, perderebbe molto di più.

Tanti auguri figlio mio. Compiere 18 anni in tempo di pandemia. #iorestoacasa

46FC106F-7797-4453-B5E3-C8BAB77B1D50_1_201_aOggi è il tuo compleanno Filippo. La vita, figlio mio, è composta da tante vite, da tanti periodi diversi. Oggi termina un periodo bello, spensierato e lungo e ne inizia un altro. Volevo lasciarti qualche parola che il cuore mi sta dettando. Da oggi potrai fare tante cose, prendere la patente, quella vera, non quella per guidare “l’insetto scoppiettante”; da oggi potrai votare, spero che tu lo faccia e lo faccia bene, sempre libero di testa e consapevole; da oggi potrai firmarti le giustificazioni a scuola; da oggi Amore mio, valicherai un confine invisibile ma importante, da oggi sarai maggiorenne. Da oggi inizia una vita fatta di responsabilità. Di maggiori responsabilità. Non sono stato un padre sempre all’altezza e so di averti fatto soffrire in passato per cose che tu hai dovuto affrontare senza esserne colpevole. A volte sei stato costretto ad essere più grande della tua età, altre volte sei stato immaturo e irresponsabile come solo l’adolescenza riesce a farti essere. Non temere figlio mio, lo siamo stati tutti. E se paragono quello che tu sei a 18 anni a quello che ero io, vedo una persona migliore di me. Un uomo bello come il sole, innamorato della vita, simpatico, intelligente e con mille possibilità. Tutte caratteristiche che posso farti diventare un uomo di successo, dove per successo intendo diventare ciò che ti renderà felice a te, e solo a te. Fregatene di quello che piace ai tuoi genitori, agli amici, o a chiunque si arrogherà il diritto di dirti che una cosa è meglio dell’altra. Da oggi impara a scegliere quello che è meglio per te, nel rispetto di tutto e di tutti. Ricorda la vita è la tua, 321BAEF1-7617-4D86-BB1F-53E927059213quello che rende felice te, potrebbe non rendere felice gli altri. Investi nel tuo futuro. Pensa a cosa vorrai essere nella tua prossima vita, ma fai in modo che in questa tu possa essere sempre appagato e felice. Divertiti, non perdere l’occasione di sorridere e di far sorridere, ma al tempo stesso devi essere una persona seria ed educata. Pensa al lavoro che vorrai fare ed impegnati a realizzarlo. Un bel lavoro è un sogno che si avvera. E un sogno che potrebbe avverarsi merita impegno e dedizione. Cerca di non essere mai superficiale, affronta le cose e i momenti che ti capiteranno, belli o brutti che siano, sempre con la giusta attenzione. Amore mio non preoccuparti di quante volte cadrai, impara a rialzarti e ad essere, dopo ogni caduta, più forte di prima. Tieni vicino i tuoi amici. Quelli veri. Scoprirai che nella vita non lo saranno tutti. Alcuni di loro continueranno ad accompagnarti per tutta la vita, altri ti lasceranno durante la strada, altri ancora si aggiungeranno. Lascia aperto il tuo cuore a nuove conoscenze. L’amicizia, quella vera, può arrivare anche quando sarai vecchio. Ama, non risparmiati. Rispetta sempre chi ti ama, anche se non sarà la donna della tua vita. Dare Amore è un gesto importante, forse il più importante. Chiunque ti concede questo sentimento merita il tuo rispetto. Quando ami, fallo incondizionatamente, non aspettarti nulla in cambio. Se il tuo Amore sarà sinceramente corrisposto ti ripagherà oltre ogni misura. La donna che riuscirà ad avere 2E73DA2D-DB42-4EF9-98C4-8394638796E2il tuo cuore, sarà una donna fortunata. Non sa che persona speciale sei. Cerca di essere attento ai soldi, non li sperperare perchè dietro a ogni soldo mal speso, ci sono ore, giorni, anni di lavoro. Poco importa se a lavorare sia tu, o qualcun altro. Dai la giusta importanza al denaro, ma non diventarne mai schiavo. Non essere taccagno, godi di quello che hai ed impara a essere riconoscente. Noi siamo persone fortunate. La vita ci ha già dato tanto. Cerca, quando puoi, di aiutare chi ha bisogno. Anche qui fallo senza avere secondi fini e senza aspettarti che, se tu ti dovessi trovare nella stessa situazione, la persona che tu hai aiutato faccia lo stesso. Potresti ricevere delle cocenti delusioni. Se presti dei soldi, fallo solo se puoi vivere senza contare su quello che hai prestato. Se il prestito è per un Amico, sappi che molto spesso rischierai di perdere soldi e amicizia. La famiglia, quella che hai e quella che creerai, saranno la tua energia e il tuo sfinimento. Ti caricheranno di energie e nel contempo le azzereranno. Sappi che non c’è cosa più bella di una famiglia UNITA. Della tua famiglia. Chi meglio di te può saperla questa cosa. Ama tua sorella, perchè lei sarà per te come un’altra figlia o mamma o amica. Quando non ci saremo più: ne tua madre ne io, lei sarà quanto ti rimarrà delle tue origini. Io amo mia sorella, tua zia, ogni anno sempre di più. Ricordati anche che la tua dignità non ha prezzo. Non la vendere, non la svendere. Qualsiasi cosa ti faccia perdere la dignità, allontanala, combattila, se puoi distruggila. Riuscire a dormire la notte e, soprattutto, riuscirsi a guardare allo specchio la mattina ti farà vivere meglio. Non abbassare mai lo sguardo davanti ad un’altra persona. Guardale sempre negli occhi. Spesso ti accorgerai di chi hai davanti soltanto guardandolo negli occhi. Sbaglia, ma abbi il coraggio di chiedere scusa. L’atto più coraggioso che puoi fare è riconoscere un errore. Non temere mai nessuno, ma non essere superbo. Non si smette mai d’imparare, ma soprattutto s’impara da chiunque, anche e soprattutto da chi non si mette in cattedra, dalle persone umili. Diffida da chi pensa di sapere tutto perchè non potrà insegnarti nulla. Abbiamo fatto tanta strada insieme e spero di farne ancora molta. Mi auguro che le forze mi sostengano a lungo per continuare a batterti a basket, anche se in fondo so già che alla prossima partita perderò, ma stai sicuro che non ti lascerò vincere facile, perchè nella vita nessuno ti regalerà mai nulla. Sono contento e orgoglioso dell’uomo che sei diventato. Stai festeggiando il tuo diciottesimo compleanno, uno di più importanti compleanni della tua vita, durante una storica pandemia che, sicuramente, verrà narrata nei libri di scuola. Di certo noi non la dimenticheremo. Ogni generazione, di solito ha una guerra da raccontare. Forse questa è la nostra. Tutte queste parole, che a volte è difficile dirsi a voce, debbono solo ricordarti che il tuo papà ti ama e non solo il solo. Sei circondato d’amore figlio mio. Nulla al mondo potrà mai cambiare questo mio sentimento. Vivi la tua vita Amore mio e ti auguro tutta la felicità che il tuo cuore può contenere.

Il tuo papà.

#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 24

unnamedOggi è domenica e continuiamo a rimanere segregati. Non è solo domenica, ma è anche domenica delle palme. A memoria sono sempre andato a prendere la palma che poi mi accompagnava durante l’anno. Quest’anno non si può. O meglio noi non possiamo. Il vescovo di Frascati, ha pensato bene di dire messa in cattedrale lasciando le porte aperte. La messa sarebbe dovuta andare in onda su YouTube soltanto. Il risultato è stato che la gente è entrata. Senza fare i bigotti, messa si, messa no; è più importante questo o quello, sta di fatto che il prelato ha sbagliato. Senza se e senza ma, irresponsabilmente ha creato le situazioni ideali per contagiare le persone che erano presenti. La cosa più grave è che lo ha fatto scientemente e senza motivo. Pensare che è una di quelle persone che dovrebbe dare l’esempio. Sottovalutare questo virus ci è costato molto caro. Passando ai dati, oggi ci sono stati meno deceduti, ma non si arrestano i nuovi positivi. Seppur in linea con i giorni passati, ma continuano a crescere. Questa inesorabile crescita è la cosa più fastidiosa da vivere. Vorrei vedere ripagati i sacrifici di tutti con dei dati migliori. Ma poi ho letto un lungo e interessante articolo scritto da Angel Luis Lara. Fino a oggi, per me, sconosciuto sociologo docente all’università di New York, che traccia una linea logica e storica di quello che ci ha portato alla pandemia. L’articolo l’ho ripreso dal Manifesto e, oltre ad essere illuminato e ben scritto fa, verso la fine, una considerazione che mi ha fatto e mi sta facendo molto riflettere:

“Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.”

Forse ha ragione. Ma se il problema fosse problema fosse proprio questa agognata e sbagliata normalità. E’ un pensiero che ho da un pò. Ma se tutto questo fosse proprio il messaggio, o anche un ultimatum che la natura ci ha voluto lanciare? Ma forse poi, tutto questo disastro deve insegnarci qualcosa di concreto e lanciarci in quella svolta che il nostro pianeta ci chiede?

Riporto l’articolo qui di seguito, per chi ha voglia e tempo da dedicargli: 

“Nell’ottobre del 2016 i suini neonati degli allevamenti della provincia di Guangdong, nel sud della China, cominciarono ad ammalarsi per il virus della diarrea epidemica suina (PEDV), un coronavirus che colpisce le cellule che ricoprono l’intestino tenue dei maiali. Quattro mesi dopo, tuttavia, i piccoli suini smisero di risultare positivi al PEDV, anche se continuavano ad ammalarsi e a morire.

Come confermarono gli esami, si trattava di un tipo di malattia mai visto prima e che fu battezzata come Sindrome della Diarrea Acuta Suina (SADS-CoV), provocata da un nuovo coronavirus che uccise 24 mila suini neonati fino al maggio del 2017, precisamente nella stessa regione in cui tredici anni prima si era scatenata l’epidemia di polmonite atipica conosciuta come SARS.

Nel gennaio del 2017, nel pieno dello sviluppo dell’epidemia suina che devastava la regione di Guangdong, vari ricercatori in virologia degli Stati uniti pubblicarono uno studio sulla rivista scientifica “Virus Evolution” in cui si indicavano i pipistrelli come la maggiore riserva animale di coronavirus del mondo.

Le conclusioni della ricerca sviluppata in Cina furono coincidenti con lo studio nordamericano: l’origine del contagio fu localizzata, con precisione, nella popolazione di pipistrelli della regione.

Ma come fu possibile che una epidemia tra i maiali fosse scatenata dai pipistrelli? Cos’hanno a che fare i maiali con questi piccoli animali con le ali?

La risposta arrivò un anno dopo, quando un gruppo di ricercatori cinesi pubblicò un rapporto sulla rivista “Nature” in cui, oltre a segnalare al loro paese il focolaio rilevante di apparizione di nuovi virus ed enfatizzare l’alta possibilità di una loro trasmissione agli esseri umani, facevano notare come la crescita dei macro-allevamenti di bestiame avesse alterato le nicchie vitali dei pipistrelli.

Inoltre, lo studio rese chiaro che l’allevamento industriale ha incrementato le possibilità di contatto tra la fauna selvatica e il bestiame, facendo esplodere il rischio di trasmissione di malattie originate da animali selvatici i cui habitat sono drammaticamente aggrediti dalla deforestazione.

Tra gli autori di questo studio compare Zhengli Shi, ricercatrice principale dell’Istituto di virologia di Wuhan, la città da cui proviene l’attuale Covid-19, il cui ceppo è identico per il 96 per cento al tipo di coronavirus trovato nei pipistrelli per mezzo dell’analisi genetica.

2.

Nel 2004, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Organizzazione mondiale della salute animale (Oie) e l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), segnalarono l’incremento della domanda di proteina animale e l’intensificazione della sua produzione industriale come principali cause dell’apparizione e propagazione di nuove malattie zoonotiche sconosciute, ossia di nuove patologie trasmesse dagli animali agli esseri umani.

Due anni prima, l’organizzazione per il benessere degli animali Compassion in World Farming aveva pubblicato sull’argomento un interessante rapporto. Per redigerlo, l’associazione britannica aveva utilizzato dati della Banca mondiale e dell’Onu sull’industria dell’allevamento che erano stati incrociati con rapporti sulle malattie trasmesse attraverso il ciclo mondiale della produzione alimentare.

Lo studio concluse che la cosiddetta “rivoluzione dell’allevamento”, ossia l’imposizione del modello industriale dell’allevamento intensivo legato ai macro-allevamenti, stava provocando un incremento globale di infezioni resistenti agli antibiotici, rovinando i piccoli allevatori locali e promuovendo la crescita delle malattie trasmesse attraverso alimenti di origine animale.

Nel 2005, esperti della Oms, della Oie e del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati uniti e il Consiglio nazionale del maiale di questo paese elaborarono uno studio nel quale si tracciava la storia della produzione negli allevamenti dal tradizionale modello delle piccole fattorie familiari fino all’imposizione delle macro-fattorie industriali.

Tra le sue conclusioni, il rapporto segnalava, come uno dei maggiori impatti del nuovo modello di produzione agricola, la sua incidenza nell’amplificazione e mutazione di patogeni, così come il rischio crescente di disseminazione di malattie.

Inoltre, lo studio notava come la sparizione dei modi tradizionali di allevamento a favore dei sistemi intensivi si stava producendo nella percentuale del 4 per cento l’anno, soprattutto in Asia, Africa e Sudamerica.

Nonostante i dati e gli allarmi, non si è fatto nulla per frenare la crescita dell’allevamento industriale intensivo.

Oggi, Cina e Australia concentrano il maggior numero di macro-fattorie del mondo. Nel gigante asiatico la popolazione degli animali allevati si è praticamente triplicata tra il 1980 e il 2010.

La Cina è il produttore di animali allevati più importante del mondo, e concentra nel suo territorio il maggior numero di “landless systems” (sistemi senza terra), macro sfruttamento di allevamenti in cui si affollano migliaia di animali in spazi chiusi.

Nel 1980 solo il 2,5 per cento degli allevamenti cinesi era costituito da questo tipo di fattoria, nel 2010 raggiungeva il 56 per cento.

Come ci ricorda Silvia Ribeiro, ricercatrice del Gruppo di azione su erosione, tecnologia e concentrazione (ETC), una organizzazione internazionale che si concentra nella difesa della diversità culturale e ecologica e dei diritti umani, la Cina è la fabbrica del mondo.

La crisi scatenata dall’attuale pandemia provocata dal Covid-19 rivela il suo ruolo nell’economia globale, particolarmente nella produzione industriale di alimenti e nello sviluppo dell’allevamento intensivo.

Solo la Mudanjiang Ciy Mega Farm, una fattoria gigante situata nel nord-est della Cina, che contiene centomila vacche la cui carne e il cui latte sono destinati al mercato russo, è cinquanta volte più grande della più grande fattoria bovina dell’Unione europea.

3.

Le epidemie sono un prodotto dell’urbanizzazione. Quando circa cinquemila anni fa gli esseri umani cominciarono a raggrupparsi in città con una certa densità di popolazione, le infezioni poterono colpire simultaneamente grandi quantità di persone e i loro effetti mortali si moltiplicarono.

Il pericolo di pandemie come quella attuale si generalizzò quando il processo di urbanizzazione è diventato globale.

Se applichiamo questo ragionamento all’evoluzione della produzione di carne le conclusioni sono realmente inquietanti. In un periodo di cinquanta anni l’allevamento industriale ha “urbanizzato” una popolazione animale che prima si distribuiva in piccole e medie fattorie familiari. Le condizioni di affollamento di questa popolazione in macro-fattorie convertono ciascun animale in una sorta di potenziale laboratorio di mutazioni virali suscettibili di provocare nuove malattie e epidemie.

Questa situazione è tuttavia più inquietante se consideriamo che la popolazione globale di animali allevati è quasi tre volte maggiore di quella di esseri umani.

Negli ultimi decenni, alcune delle infezioni virali con maggiore impatto si sono prodotte grazie a infezioni che, oltrepassando la barriera delle specie, hanno avuto origine nello sfruttamento intensivo dell’allevamento.

Michael Greger, ricercatore statunitense sulla salute pubblica e autore del libro “Flu: A virus of our own hatching” (influenza aviaria: un virus che abbiamo incubato noi stessi), spiega che prima della domesticazione degli uccelli, circa 2500 anni fa, l’influenza umana di certo non esisteva.

Allo stesso modo, prima della domesticazione degli animali da allevamento non si hanno tracce dell’esistenza del morbillo, del vaiolo e di altri morbi che hanno colpito l’umanità da quando sono apparsi in fattorie e stalle intorno all’anno ottomila prima della nostra era.

Una volta che i morbi saltano la barriera tra specie possono diffondersi nella specie umana provocando conseguenze tragiche, come la pandemia scatenata da un virus dell’influenza aviaria nel 1918 e che in un solo anno uccise tra 20 e 40 milioni di persone.

Come spiega il dottor Greger, le condizioni di insalubrità nelle trincee della prima guerra mondiale sono solo una delle variabili che causarono una rapida propagazione del contagio del 1918, e sono a loro volta replicate oggi in molti dei mega-allevamenti che si sono moltiplicati negli ultimi venti anni con lo sviluppo dell’allevamento industriale intensivo.

Miliardi di polli, per esempio, sono allevati in questa macro-imprese che funzionano come spazio di contenimento suscettibile di generare una tempesta perfetta di carattere virale.

Da quando l’allevamento industriale si è imposto nel mondo, la medicina sta rilevando morbi sconosciuti e un ritmo insolito: negli ultimi trent’anni si sono identificati più di trenta patogeni umani, la maggior parte dei quasi virus zoonotici come l’attuale Covid-19.

4.

Il biologo Robert G. Wallace ha pubblicato nel 2016 un libro importante per tracciare la connessione tra i modelli della produzione capitalista di bestiame e l’eziologia delle epidemie esplose negli ultimi decenni: “Big Farms Make Big Flu” (le mega-fattorie producono macro-influenze).

Alcuni giorni fa, Wallace concesse una intervista alla rivista tedesca Marx21, nella quale sottolinea una idea chiave: concentrare l’azione contro il Covid-19 su mezzi d’emergenza che non combattano le cause strutturali dell’epidemia è un errore dalle conseguenze drammatiche. Il principale pericolo che fronteggiamo è considerare il nuovo coronavirus come un fenomeno isolato.

Come spiega il biologo statunitense, l’incremento degli incidenti con virus, nel nostro secolo, così come l’aumento delle loro pericolosità, sono direttamente legati alle strategie delle corporazioni agricole e dell’allevamento,  responsabili della produzione industriale intensiva di proteine animali.

Queste corporazioni sono così preoccupate per il loro profitto da assumere come un rischio proficuo la creazione e propagazione di nuovi virus, esternalizzando così i costi epidemiologici delle loro operazioni agli animali, alle persone, agli ecosistemi locali, ai governi e, proprio come mostra la pandemia attuale, allo stesso sistema economico mondiale.

Nonostante l’origine esatta del Covid-19 non sia del tutto chiara, essendo possibili cause dell’infezione virale tanto i maiali delle macro-fattorie quanto il consumo di animali selvatici, questa seconda ipotesi non scagiona gli effetti diretti della produzione intensiva di animali.

La ragione è semplice: l’industria dell’allevamento è responsabile dell’epidemia di influenza suina africana (ASP) che ha devastato le fattorie cinesi che allevano maiali l’anno scorso.

Secondo Christine McCracken, la produzione cinese di carne di maiale potrebbe essere crollata del 50 per cento alla fine dell’anno passato. Considerato che, almeno prima dell’epidemia di ASf nel 2019, la metà dei maiali che esistevano nel mondo veniva allevata in Cina, le conseguenze per l’offerta di carne di maiale sono state drammatiche, particolarmente nel mercato asiatico.

E’ precisamente questa drastica diminuzione dell’offerta di carne di maiale che avrebbe motivato un aumento della domanda di proteina animale proveniente dalla fauna selvatica, una delle specialità del mercato della città di Wuhan, che alcuni ricercatori hanno segnalato come l’epicentro dell’epidemia di Covid-19.

5.

Frédéric Neyrat ha pubblicato nel 2008 il libro “Biopolitique des catastrophes” (biopolitica delle catastrofi), una definizione con la quale egli indica una maniera di gestire il rischio che non mette mai in questione le cause economiche e antropologiche, precisamente le modalità di comportamento dei governi, delle élites e di una parte significativa delle popolazioni mondiali in relazione alla pandemia attuale.

Nella proposta analitica del filosofo francese, le catastrofi implicano una interruzione disastrosa che sommerge il presunto corso normale dell’esistenza. Nonostante il suo carattere di evento, si tratta di processi in marcia che mostrano, qui e ora, gli effetti di qualcosa che è già in corso.

Come segnala Neyrat, una catastrofe sempre si origina da qualche parte, è stata preparata, ha una storia.

La pandemia che ci devasta disegna con efficacia la sua caratteristica di catastrofe, tra l’altro nell’incrocio tra epidemiologia e economia politica. Il suo punto di partenza è saldamente ancorato nei tragici effetti dell’industrializzazione capitalista del ciclo alimentare, particolarmente nell’allevamento.

Oltre alle caratteristiche biologiche intrinseche dello stesso coronavirus, le condizioni della sua propagazione includono gli effetti di quattro decenni di politiche neoliberiste che hanno eroso drammaticamente le infrastrutture sociali che aiutano a sostenere la vita. In questa deriva, i sistemi sanitari pubblici sono stati particolarmente colpiti.

Da giorni circolano nelle reti sociali e nei telefoni mobili testimonianze del personale sanitario che sta combattendo con la pandemia negli ospedali. Molti coincidono con la descrizione di una condizione generale catastrofica caratterizzata da una drammatica mancanza di risorse e di personale sanitario.

Come annota Neyrat, la catastrofe possiede sempre una storicità e dipende da un principio di causalità.

Dagli inizi del secolo, differenti collettivi e reti cittadine hanno denunciato il profondo deterioramento del sistema pubblico della salute che, per mezzo di una politica reiterata di sottrazione di capitali, ha condotto praticamente al collasso la sanità in Spagna.

Nella Comunidad (Regione) di Madrid, territorio particolarmente colpito dal Covid-19, l’investimento pro capite destinato al sistema sanitario si è andato riducendo in modo critico negli ultimi anni, mentre si scatenava un parallelo processo di privatizzazione. Sia la cura primaria come i servizi di urgenza della regione erano già saturi e con gravi carenze di risorse prima dell’arrivo del coronavirus.

Il neoliberismo e i suoi agenti politici hanno seminato su di noi temporali che un microorganismo ha trasformato in 6.

Nel pieno della pandemia ci sarà sicuramente chi si affannerà nella ricerca di un colpevole, si tratti di un capro espiatorio o di un furfante. Si tratta di certo di un gesto inconscio per mettersi in salvo: trovare qualcuno a cui attribuire la colpa tranquillizza perché depista sulle responsabilità.

Tuttavia più che impegnarsi nello smascherare un soggetto solo, è più opportuno identificare una forma di soggettivizzazione, ossia interrogarsi su uno stile di vita capace di scatenare devastazioni così drammatiche come quelle che oggi investono le nostre esistenze.

Si tratta senza dubbio di una domanda che non ci salva né ci conforta e meno ancora ci offre una via d’uscita. Sostanzialmente perché questo stile di vita è il nostro.

Un giornalista si è avventurato qualche giorno fa ad offrire una risposta sull’origine del Covid-19: “Il coronavirus è una vendetta della natura”. Al fondo non gli manca una ragione. Nel 1981 Margaret Thatcher depose una frase per i posteri che rivelava il senso del progetto cui lei partecipava: “L’economia è il metodo, l’obiettivo è cambiare l’anima”.

La prima ministra non ingannava nessuno. Da tempo la ragione neoliberista ha convertito ai nostri occhi il capitalismo in uno stato di natura. L’azione di un essere microscopico, tuttavia, non solo sta riuscendo di arrivare anche alla nostra anima, ma ha spalancato una finestra grazie alla quale respiriamo l’evidenza di quel che non volevamo vedere.

Ad ogni corpo che tocca e fa ammalare, il virus reclama che tracciamo la linea di continuità tra la sua origine e la qualità di un modo di vita incompatibile con la vita stessa. In questo senso, per paradossale che sembri, affrontiamo un patogeno dolorosamente virtuoso.

La sua mobilità aerea sta mettendo allo scoperto tutte le violenze strutturali e le catastrofi quotidiane là dove si producono, ossia ovunque.

Nell’immaginario collettivo comincia a diffondersi una razionalità di ordine bellico: siamo in guerra contro un coronavirus. Eppure sarebbe forse più esatto pensare che è una formazione sociale catastrofica quella che è in guerra contro di noi già da molto tempo.

Nel corso della pandemia, le autorità politiche e scientifiche dicono che sono le persone gli agenti più decisivi per arginare il contagio.

Il nostro confinamento è inteso in questi giorni come il più vitale esercizio di cittadinanza. Tuttavia, abbiamo bisogno di essere capaci di portarlo più lontano.

Se la clausura ha congelato la normalità delle nostre inerzie e dei nostri automatismi, approfittiamo del tempo sospeso per interrogarci su inerzie e automatismi.

Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.

Il problema che affrontiamo non è solo il capitalismo in sé, ma anche il capitalismo in me. Chissà che il desiderio di vivere non ci renda capaci della creatività e della determinazione per costruire collettivamente l’esorcismo di cui abbiamo bisogno.

Questo, inevitabilmente, tocca a noi persone comuni.

Grazie alla storia sappiamo che i governanti e i potenti si affanneranno a fare il contrario.

Non permettiamo che ci combattano, dividano o mettano gli uni contro gli altri.

Non permettiamo che, travolti una volta ancora dal linguaggio della crisi, ci impongano la restaurazione intatta della struttura stessa della catastrofe.

Benché apparentemente il confinamento ci abbia isolato gli uni dagli altri, tutto questo lo stiamo vivendo insieme.

Anche in questo il virus appare paradossale: si mette in una condizione di relativa eguaglianza. In qualche modo riscatta dalla nostra amnesia il concetto di genere umano e la nozione di bene comune. Forse i fili etici più efficaci da cui cominciare a tessere un modo di vita diverso a un’altra sensibilità.”

(Articolo originale: El Diario, articolo in italiano su il Manifesto: Articolo su “il Manifesto”)

#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 23

unnamedSono 23 giorni. Oramai passiamo talmente tanto tempo a casa che iniziamo quasi ad abituarci. Quello che era normale solo un paio di mesi fa, oggi sembra quasi una conquista. Si parla che i ragazzi non riandranno a scuola. Si parla di come si potranno fare gli esami di maturità. Di sicuro passeremo la Pasqua a casa. Stiamo imparando a fare cose nuove. Abbiamo tempo di fare cose. Si creano nuovi equilibri a casa. Passano i compleanni e li stiamo festeggiando on-line. Con oggi è già il secondo. Filippo tra quattro giorni farà 18 anni. Una data importante per ognuno di noi. Tutti noi ricordiamo quello che abbiamo fatto al nostro diciottesimo compleanno. Filippo ricorderà una pandemia. Ricorderà che il giorno in cui è diventato maggiorenne un virus lo ha costretto a casa. E pensare che avevamo in mente una festa fantastica. La questione è che ancora troppe persone non fanno quello che devono. A casa dobbiamo trovare mille modi per trattenere una bambina di quattro anni, quasi cinque, ma tanti – troppi – ancora vanno in giro senza un motivo. Questo rischierà di prolungare la nostra “prigionia”. Sono preoccupato. Stanotte ho passato una delle mie notti in bianco. Ho pensato all’estate, all’essere pronti a ripartire con le nostre attività a come tante persone affronteranno il futuro prossimo. Sono preoccupato. Oggi i dati sono in linea con quelli dell’ultimo periodo. Ogni giorno li guardo e spero che si abbassino. Spero che inizi la fase in cui i positivi siano meno di quelli di ieri. Ogni giorno li guardo e spero di leggere che non c’è stato nessun morto. Ho paura che questa situazione ci rubi l’estate, rubi i sogni, che rubi i sogni di tante persone. Gente che ha comprato casa e ha il mutuo da pagare, gente che ha investito nella propria attività, ci sono lavoratori che si trovano sbalzati in cassa integrazione, ci sono persone che non hanno più un euro in tasca. Questa storia ci sta rubando il futuro. Spero che finisca presto. Spero che ognuno di noi, spero che i nostri figli possano riprendersi la normalità che meritano.

#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 20

unnamedOggi sono venti giorni che sono chiuso a casa. Insieme a me tutta la mia famiglia. Poche uscite per la spesa, qualche cosa improrogabile per il lavoro, il cane. Queste le uniche evasioni. Daniela, Andrea e Filippo sono stati più bravi di me in questo periodo. Oggi sono passati parecchi corrieri a casa. Stanno diventando una simpatica interruzione della monotonia quotidiana. Con il fatto che lasciano le cose di sotto sembrano i paperboy americani. Quei ragazzi che, spesso in bici, lanciano i quotidiani nelle case, con una mira da cecchino, centrano gli zerbini delle case. Oramai i nostri corrieri passano, suonano e ti lasciano le cose in giardino, o sotto il condominio. I corrieri sono una parte degli eroi che, questi giorni, stanno facendo un lavoro oscuro ma fondamentale. Senza di loro le merci, i nostri  ordini on-line non ci sarebbero stati. Se avessero tolto anche quello, la nostra tenuta psicologica sarebbe crollata molto più giù. Sapere che se ci occorre qualcosa, c’è qualcuno che te la consegna, ci ha fatto passare questi giorni con maggiore serenità. Ovviamente questa categoria di lavoratori, si aggiunge a tutte le altre che hanno contribuito a darci un minimo di conforto in questo momento così strano, così difficile. Per quanto riguarda i contagi invece, anche oggi i dati sono stati buoni, non buoni come ieri, ma soddisfacenti. Questo mi fa ben sperare. Dobbiamo tenere duro, ma la strada è quella giusta. La novità di oggi è che possiamo far uscire i bambini per una passeggiata intorno a casa. Sembra poca cosa, invece è una grande conquista per chi come Andrea, (5 anni quasi) è un mese, circa, che non vede i suoi coetanei. Qualche passo intorno a casa non può che fargli bene. Domani, se riesco, ce ne andiamo qui intorno a passeggiare. Portiamo il cane e raccogliamo qualche fiore. Lei adora raccogliere i fiori. E’ primavera e inizia ad esserci il bel tempo,  ogni bambino ha diritto ad una passeggiata per mettere il naso fuori da casa. Ogni pediatra avrebbe condannato un comportamento simile. Un genitore che tiene un figlio un mese dentro casa. Roba da togliere la patria podestà. Invece siamo costretti a combattere questa: “maledetta influenza”, come dice Andrea, con dei comportamenti che, normalmente, sarebbero sbagliati. Con dei comportamenti che comprometterebbero seriamente la salute psicologica dei nostri ragazzi. La nostra prudenza ci ha fatto acquistare un mese di vantaggio rispetto al mondo. Come noi, prima di noi, la Cina. In barba a chi guardava l’Italia come disordinata e esagerata, ora possiamo vedere il male da in cima alla montagna. La scalata è stata dura ma siamo in cima, o quasi, dobbiamo solo scendere. Dobbiamo avere prudenza, ma possiamo scendere. Gli Stati Uniti sono un mese indietro con il contagio, ma con dei dati decisamente più allarmanti. Così come Spagna, Germania e Francia. L’unica nota da sottolineare è che i tedeschi non muoiono da COVID-19. Hanno dei numeri, se possibili anche peggiori dei nostri, ma non muoiono. Secondo loro tutto il mondo dovrebbe bersi questa cretinata. Secondo loro: gli Spagnoli, gli Italiani, i Cinesi, gli Americani, possono morire di Corona-virus, loro no. Che strana gente i tedeschi.

#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 19

unnamedOggi è una bella giornata. Prendendo sempre con le molle i dati che ci vengono forniti oggi abbiamo avuto “solo”: 1648 nuovi contagiati. Era dal 10 di marzo che non avevamo un dato migliore. Un brusco calo rispetto a ieri che ci fa ben sperare. Non dobbiamo abbassare la guardia, non dobbiamo mollare, ma sembra che le misure di contenimento stanno dando i primi risultati. Il grafico che allego, fatto in casa e senza nessuna pretesa, da un’idea di come la curva, soprattutto quella dei nuovi contagi stia scendendo. Questo è solo l’inizio e spero che il prima possibile si possa tornare ad una normalità riconquistata. Schermata 2020-03-30 alle 18.29.59

Il nord è il traino, nel bene e nel male di questi dati. Il drastico calo al Nord sta trainando il positivo dato nazionale. Questo significa due cose: la prima che il sud comunque sta tenendo. La paura del contagio di ritorno dal Nord sta sfumando. Sarebbe stato drammatico un dato simile al nord per le strutture sanitarie del sud. Il secondo dato che la partita si sta giocando al Nord. Le misure di contenimento hanno evitato una vera e proprio strage. Abbiamo TUTTI sottovalutato la gravità di quello che ci stava accadendo. Codogno, come altri paesi del nord, hanno pagato il fatto di essere stati i primi as essere stati contagiati.  Unico dato negativo sono i deceduti. Solo oggi: 812, in totale: 11.591. Una ecatombe. Sono vicino a tutte le famiglie che hanno perso i loro cari. La cosa più brutta è che non hanno potuto piangerli e dargli un degno saluto. Nel giorno in cui abbiamo avuto il numero maggiore di guariti, da quando stiamo fronteggiando questo nemico invisibile: 1590, il mio pensiero va proprio a loro. Per chi sta lottando…non molliamo!!

#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 18

unnamedIl video che oggi mi ha colpito è quello del primo ministro albanese. Sono molti gli albanesi in Italia. Una “colonia” importante di un popolo fiero nostro dirimpettaio sull’Adriatico. Anche l’intervista che è seguita in serata su SkyTg24 è stata piacevole e i cenni calcistici sulla modalità per affrontare questa pandemia è stata illuminante. Il Primo Ministro Albanese ha dichiarato che per distruggere e combattere questo mostro invisibile, dobbiamo utilizzare il pressing di Sacchi e non il catenaccio italico. Il video che v’invito a vedere è questo:

https://youtu.be/A22V4Gh8-0E

E’ una lezione di vita, di stile. Sicuramente figlia di una diplomazia evoluta. Un popolo anche se umile, anche se povero, può dare aiuto a chi ne ha bisogno. Noi siamo stati molto presenti in Albania qualche anno fa. Abbiamo portato aiuti, infrastrutture, uomini e mezzi. Loro sono stati riconoscenti. Tra le parole dette dal Primo Ministro Edi Rama quelle che mi porterò nel cuore sono: “possiamo essere un popolo povero, ma siamo un popolo che non dimentica”. Giusta lezione a chi, invece, dovrebbe esserci vicino perchè facente parte della stessa Unione, quella Europea. In cima a tutti alla Germania, che dopo due guerre, causate e perse aveva un debito incredibile e che, nell’accordo del 27 febbraio 1953 a Londra altri popoli, che la guerra invece l’avevano vinta, hanno rinunciato al 50% del debito. La Germania, ma non solo, è governata da politici miopi che stanno sancendo la fine dell’Europa, per come siamo abituati a vederla e, forse, a sognarla.

https://keynesblog.com/2015/03/10/europa-cancellazione-debito-germania-grecia/

Io sono un Europeista convinto, ma il modello strutturale che dobbiamo seguire, secondo me, è quello degli USA, un governo federale e non un’unione solo di circostanza o di utilità di pochi e potenti stati. Ma sono convinto che la mia è solo un’illusione. Dobbiamo resistere. La bella notizia di oggi è il calo delle persone in terapia intensiva e l’aumento dei dimessi. Sarà lunga, ma ne usciremo. Io sono convinto che ne usciremo anche bene. Dovemmo soffrire sulla ripartenza, ma questa disgrazia restituirà un popolo più forte.

#iorestoacasa diario di una pandemia giorno 17

unnamedL’argomento di oggi è la serietà. Si deve essere seri quando ci sono dei problemi. Si deve essere seri quando di debbono risolvere dei problemi. E’ notizia di ieri sera, o meglio è di qualche giorno fa, ma è rimbalzata sui giornali, in tv e nei social, solo ieri, che la federazioni italiana rugby, ha cessato tutte le attività sportive nazionali. La cessazione prevede che nella massima serie non venga assegnato lo scudetto e che non ci siano retrocessioni. Anche nelle serie minori tutto è finito il giorno della sospensione. Tutto congelato, come se nulla fosse iniziato. Questa mi sembra un atto di serietà, coraggioso, ma soprattutto serio. Davanti al dramma che vediamo ogni giorno, davanti al momento cruciale che stiamo vivendo, la serietà impone di fare un passo indietro. E allora non è più importante il rugby o il calcio o la NBA o qualsiasi altra cosa non occorra a risolvere questo problema globale, questa pandemia. Dopo i contagi, ci sarà da risollevare le economie nazionali e l’intera economia globale. Ci vorranno anni, forse decenni, cosa conta un campionato sportivo in confronto? Cosa conta se lo scudetto lo vince questa o quella squadra? Di fronte abbiamo un’epocale tragedia che i nostri nipoti studieranno a scuola. Bisogna essere seri, il rugby italiano lo è stato. Sempre in ambito di serietà, direi che in un momento come questo, anche i nostri omologhi Europei dovrebbero esserli. In particolare: i Tedeschi, gli Olandesi i Finlandesi, dovrebbero capire che non si può lucrare su un momento come questo. Il senso di comunità deriva dal fatto che dovremmo essere tutti accomunati, anche se il problema, in un determinato momento, è geograficamente lontano da uno o più stati membri. In momenti come questi si debbono mettere in campo tutte le possibilità, tutte le opportunità per uscire dalla crisi e, come dicono i Marines, non lasciare nessuno indietro. Il rischio grande è che si creino tante crisi come in Grecia qualche anno fa. Uno stato debole, preso d’assalto dagli sciacalli, che invece avrebbero dovuto essere fratelli. Quella della Grecia è un brutto capitolo nella storia dell’Europa e non vorrei che si ripetesse, anche perchè gli attori sono gli stessi che non vogliono dare il loro voto agli Eurobond, tristemente ribattezzati Coronabond. Ma di storie finite male di fratelli, noi in Italia, ne conosciamo più di qualcuna, sappiamo come comportarci. Ho appena sentito il discorso di Conte e invece di rassicurarmi, mi ha agitato. Ha parlato a tutte quelle persone che sono veramente in crisi. Ha parlato a loro e mi sono sentito impotente. Vorrei fare qualcosa in più, qualcosa per aiutare. Un mio Amico, con il quale mi sono scambiato dei messaggi mi ha detto che: “l’unica cosa che possiamo fare è essere pronti a ripartire”. Questo è il nostro compito, essere pronti.