Scrivo con molto ritardo, ma il momento è quello che è. Sempre di corsa. Ma non è solo questo il motivo, ho avuto bisogno di smaltire la settimana di emozioni che ho trascorso. In pochi giorni ho esaurito tutti i concerti di questa estate. E pensare che ne avrei voluti vedere anche altri. I Depeche Mode, Mark Knopfer, avrebbero completato la collezione 2013, ma non ce l’abbiamo fatta. Gli impegni, e il costo sempre meno accessibile dei concerti ha vinto sulla voglia di musica. Certo che l’abbinamento non è stato per niente male, e gli artisti che abbiamo ascoltato, da annali. Siamo riusciti a vedere John Legend a Perugia e Bruce Spingsteen a Roma. Artisti e generi molto lontani tra loro, ma accomunati da una enorme personalità e professionalità. Risultato?? Due eventi che mi porterò nel cuore, oltre che nella memoria. Il primo si è svolto a Perugia, nel cuore del Umbria Jazz festival, nella cornice dell’Arena di Santa Giuliana. Un posto suggestivo e ben organizzato, degno della classe dell’artista. Legend si è presentato sul palco puntualissimo e ha deliziato il pubblico con tutti i suoi cavalli di battaglia, dando molto risalto al passato e facendo solo una brevissima panoramica sull’ultimo album. Ordinari people, green light, Save Room, hanno fatto ballare tutti i presenti, che hanno saputo offrire il giusto silenzio ai brani cantanti e accompagnati solo dal suo piano. Molto apprezzata una cover, che non gli avevo mai sentito fare: Dancing in the Dark, del Boss, che ci ha catapultato al concerto che avremmo visto il giovedì successivo. Certo Legend l’ha cantata con un’energia diversa di quella di Springsteen, ma altrettanto apprezzabile. Legend ha dato anche un assaggio di un brano: Made to Love, che sarà nel disco che uscirà il 3 settembre. Legend ha saputo, come sempre, rendere l’atmosfera magica e far apprezzare le sue doti anche a chi, come Daniela, non lo conosceva a fondo. Il giorno dopo ci siamo presi una pausa da tutto e da tutti, abbiamo dormito a Perugia, e il giorno dopo abbiamo visitato Pienza. Dal mercoledì eravamo già carichi per il concerto che avremmo visto il giovedì. Solo ascoltare i brani di Springesteen da una carica incredibile, figuriamoci ascoltarli, con la prospettiva del concerto. Ho sempre un po’ di perplessità quando vado a vedere i concerti a Capannelle. Roma meriterebbe molto di più, ma soprattutto meriterebbero di più gli artisti che ospita. Comunque tra qualche acquisto, un panino e una birra, il tempo passa. La montagna di gente davanti al palco è enorme, e il caldo si fa sentire. Nel pomeriggio aveva piovuto, quindi era la classica serata umida romana.
Quando le luci del palco si sono accese e Bruce è uscito, c’è stata un’ovazione. Il Boss ha un feeling particolare con il suo pubblico, e la varietà era enorme. C’erano bambini di dieci anni, o giù di li, e anziani signori. D’altronde Springsteen è del 1949. È uno che ha cantato con Dylan, con i Rolling Stones, e mentre erano al massimo. Lui nei fantastici anni ’70 c’era ed era già grande. Ma c’era anche negli anni ’80, e così via sino ad oggi. Il concerto è fuggito via veloce. Tutti i suoi successi, nessuno escluso, ed a un certo punto è saltata anche la scaletta. Il suo volere sentire il pubblico addosso, gli ha fatto venir voglia di accontentarlo. Le canzoni erano dettate in base ai cartelli che il pubblico tirava fuori. Una band perfetta, che non si è fatta cogliere di sorpresa ed ha saputo accontentare il suo vecchio gigante. Il fisico tonico gli ha permesso di cantare, correre e suonare come non avevo mai sentito fargli. Born in the USA, Darlington County, Born to run, Bobby Jean, Dancig in the Dark, e tutte le altre. Tre ore di musica carica di energia, di voglia di stare li in quel momento a fare proprio quello che stava facendo, cantare davanti al suo pubblico. Non una sbavatura, la sua Fender lo ha seguito anche nelle pennate più energiche. La riprova che quello di giovedì scorso è stato un concerto mitico, sono stati proprio i suoi sorrisi. I sorrisi che un uomo dalla voce potente, dal fisico che potrebbe far invidia ad un teenager, un uomo che sembra spaccare la chitarra ad ogni pennata, rilevavano la dolcezza che c’é dentro ad ogni canzone. La dolcezza che ha dimostrato nel tributo finale a Clarence Clemons, suo amico, e compagno di mille concerti. Mentre scrivo, e sono passati quattro girini, ho ancora i brividi. Tutta la serata, tutto il concerto è stato un brivido lunghissimo.
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Kasabian suonano gratis.
Lo scorso anno li abbiamo visti a Capannelle ( https://alessandrodigiulio.com/2012/07/20/kasabian/ ) Un concerto fantastico, molto coinvolgente. Quest’anno, all’improvviso, hanno fissato una data a Milano, il 30, e suoneranno gratis. L’evento è stato pubblicizzato poco, ma sicuramente piazza del Duomo sarà gremita di gente. E’ un concerto che consiglio, lo scorso anno sono state due ore di musica incredibile, senza pause. La band di Sergio Pizzorno (chitarra e voce), sono sicuro, non deluderà le attese. Peccato non essere a Milano.
Muse – Bologna 16 novembre 2012 –
Quando ho conosciuto Daniela, abbiamo subito parlato di musica. La musica è stata una cosa che tra noi ha sempre funzionato. Il primo concerto che abbiamo visto insieme è stato quello dei Muse a Wembley, nel settembre del 2010. Il nostro primo week end fuori, in una Londra fantastica assistendo ad un concerto fantastico. Ho sempre pensato che quello fosse stato il concerto più bello che abbia mai visto, e sicuramente il contesto (lo stadio di Webmley) rimane il migliore, ma ieri sera i Muse si sono superati. L’Unipol Arena è un palazzetto che ospita, prevalentemente, la pallacanestro, ma è stato riadattato anche per avere una buona acustica. Il palco non era grandissimo, ma la
tecnologia lo ha reso incredibile. Ci sono state astronavi che atterravano, e marziani che ballavano, una roulette che sceglieva i brani da suonare, luci, laser, e una regia impeccabile. In questo contesto creato per strabiliare, sono volati i brani suonati con maestria dai tre ragazzi inglesi. Matthew Bellamy ha cantato e suonato senza macchie. La musica scorreva fluida in una sequenza senza errori. Le note echeggiavano forti nello spazio, e gli effetti speciali mi hanno letteralmente stordito. Gli assoli di chitarra sembravano registrati in studio. I ragazzi stanno crescendo, ed ora iniziano ad avere un repertorio che gli permette di tenere un concerto al meglio. Non c’è stato un brano forzato, o inserito per riempire. Risultato il concerto perfetto.
Lista dei Brani:
- The 2nd Law: Unsustainable
- Supremacy
- Interlude/Hysteria
- Resistance
- Supermassive Black Hole
- Panic Station
- Animals
- Explorers
- Falling Down
- Time is Running Out
- Liquid State
- Madness
- Follow Me
- Undisclosed Desires
- Plug in Baby
- New Born
- The 2nd Law: Isolated System
- Uprising
- Man With Harmonica (intro)/Knights of Cydonia
- Starlight
- Survival
Il segno distintivo.
Sto leggendo un bel libro. La biografia autorizzata di Steve Jobs, scritta da Isaacson. Un bel libro, scritto molto bene. E’ sempre curioso vedere il percorso che fanno le persone nella loro vita, ma soprattutto quando queste persone hanno cambiato il mondo. Tra le tante cose, i tanti spunti e riflessioni, che sto prendendo da questo libro, pensavo all’importanza che la musica ha nella nostra vita. Se vuoi sapere chi hai di fronte devi sapere che musica ascolta. La musica non mente. Puoi far finta di essere qualcun altro, ma non puoi far finta di ascoltare la musica che non è la tua. La musica che ascoltiamo è la colonna sonora della nostra vita. E solo della nostra. E’ bello perdersi nei ricordi ascoltando un brano che passa nella radio. E’ bello ripercorrere alcuni momenti della nostra esistenza, riassaporare le sensazioni, rivedere dei nostri cari, al suono di qualche nota. Ci sono alcuni brani che mi fanno venire in mente persone care, e quando ne ho voglia non debbo far altro che mettere quella canzone e i pensieri volano verso di loro. Altre volte ci vengono in mente situazioni, belle o brutte, momenti particolari, o semplicemente luoghi o colori. Ecco perchè è impossibile dividere la musica che ascoltiamo da chi siamo. Il collegamento tra quello che sto dicendo ed il libro è: l’Ipod. Nel libro descriveva il processo mentale che ha portato, Jobs e i suoi creativi, a creare un musicplayer portatile. Il motivo semplice era la profonda esigenza di potersi portare ovunque la “nostra” musica, senza dover necessariamente tra pochi brani. I lettori precedenti erano difficili da riempire e poco capienti. Ecco qual’è il segreto dell’IPod, che unito ad un design unico lo ha reso un oggetto di culto. Ho anche riflettuto che spesso mi è capitato di avere in mano un Iphone, un Ipod di un amico e sbirciare quale musica vi era caricata. A volte mi è capitato di sorprendermi a storcere la bocca nel leggere le playlist o i cantanti presenti nel suo apparecchio. Ma è sbagliato giudicare la musica non nostra. La musica è come un segno distintivo, un cromosoma del nostro DNA. Alcuni di noi hanno gli occhi verdi, altri marroni, possono piacere di più gli uni o gli altri, ma non si può far nulla, è semplicemente così. Qualcuno può ascoltare i Kasabian, altri Gigi D’Alessio, o piuttosto preferire i Beatles ai Rolling Stones, ma è così. Io non andrei mai ad un concerto di Tiziano Ferro, ma probabilmente chi c’è stato, non andrebbe mai ad ascoltare i Pink Floyd. L’unica cosa che può fare la musica degli altri, è darti un’idea di chi hai davanti. Il tipo di musica che si ascolta ha un legame indissolubile con il nostro carattere. Chi siamo, cosa abbiamo fatto, e soprattutto come, è legato, senza possibilità di scissione, alla musica che abbiamo ascoltato, a che tipo di imprinting musicale, i nostri genitori ci hanno dato da piccoli, o che musica abbiamo ascoltato nell’adolescenza, o in età adulta. Se poi abbiamo avuto l’esperienza di strimpellare uno strumento, allora il gioco è fatto. I pomeriggi a suonare questo o quel cantautore, o il pezzo di quel gruppo rock inglese, ci avranno segnato per sempre. Se però 20 anni fa era possibile nascondere la musica che si ascoltava, ora basta staccare l’auricolare dall’orecchio del nostro interlocutore ed ascoltare. L’unico modo per avere la certezza di cosa ascoltava il nostro interlocutore prima, era quello di andare a casa e sbirciare tra i dischi o i CD che possedeva. Ora abbiamo strumenti, che permettono di portarci dietro la nostra musica, ed è molto più facile scoprire il gusto musicale di chi abbiamo di fronte. Sbirciare i Gbyte di musica è un gesto molto più semplice. E’ importante sapere cosa ascolta chi abbiamo davanti. Forse dovremmo dare più importanza a questo aspetto, nel valutare le persone, e meno ad altri aspetti che sono solo apparenza. La musica è sostanza, non apparenza.
Beach Boys e Simple Minds…
Cosa c’entrano insieme due gruppi così diversi, per epoca, stile, suoni ed età?? Semplice, li ho visti nello stesso posto, i Beach Boys l’altro ieri ed i Simple Minds ieri, a Rock in Roma. E’ stato un piacevole tuffo nel passato. Quando ero ragazzino, i Beach Boys erano già stati grandi, mentre i Simple Minds erano uno dei gruppi di maggiore tendenza. Erano molto influenti ed il loro frontman, Jim Kerr, era uno degli scozzesi più ambiti dalle donne. Sono cresciuto con: “don’t you forget about me” e “alive and kicking”, ma “Barbara Ann” e “Surfin’ USA” erano ancora ballatissime. Un gruppo, il primo, era entrato nell’Olimpo dei grandi, il secondo spopolava in Europa e nel mondo. Sentirli ieri e l’altro ieri è stato semplicemente emozionante. I Beach Boys hanno fatto una reunion dopo 50 anni, che si vedevano tutti, ed hanno messo su questo tour che porta in giro per il mondo i loro successi, compreso l’ultimo uscito: “That’s Why God made the radio”. Certo non sono in forma come 50 anni fa, ma l’energia della loro musica è ancora intatta. La band suona ancora con la perfezione che li ha contraddistinti. Vedere gente, di tutte le età, saltare e ballare sulle note di Good Vibrations è stato bellissimo. Brian Wilson ha difficoltà evidenti di salute, è rimasto dietro al suo piano tutto il tempo, ma c’era. Gran parte della sua carriera l’ha passata a casa a scrivere canzoni, mentre il resto della band andava in giro per il mondo a fare concerti. Una crisi di panico dopo un volo lo aveva allontanato dai concerti, ma lo ha avvicinato ad un’eccellenza artistica senza precedenti.
La sua clausura gli ha permesso di partorire album come: Pet Sound e Smile. In particolare Surf’s Up, la mia preferita. Questa canzone nella versione solo del 1967, Brian l’ha incisa mentre la faceva ascoltare alla sua band la prima volta, accompagnandosi solo con il piano e la sua voce. Ha inciso quel brano stupendo, appena scritto: geniale e folle. Ha faticato ad esserci, ma c’era. E questo è stato l’importante. Altro discorso invece per i Simple Minds che, si vede, ancora si divertono un mondo. Tutto il loro concerto è stato un rincorrersi di di ricordi. Mi sono venute in mente vacanze, pomeriggi di studio, fughe con il motorino, i miei amici più cari, le feste con l’immancabile palla che girava al centro del soffitto, tanta allegria, tanta spensieratezza. In una parola: la mia giovinezza. Il livello e l’energia di tutto il gruppo è ancora alta. Jim ha ballato, saltato e cantato tutto il concerto. Inutile dirlo, Don’t You forget about me, e Alive Kicking sono state eseguite magistralmente, e tutti hanno cantato e ballato. Con Daniela abbiamo finito questo tour de force musicale. Il prossimo concerto che abbiamo in programma sono: i Muse a novembre a Bologna. E’ stato un luglio intenso, ma mai come quest’anno ho potuto apprezzare un palinsesto musicale di così alto livello. Molti artisti, molta scelta. Faccio fatica a dare un parere sul mio preferito, tutti e sei mi hanno lasciato qualcosa. Peccato, mi ripeterò, che la più bella città del mondo, abbia il più brutto posto del mondo per far ascoltare della musica.
Ben Harper
Bellissimo. Solo questo aggettivo per descrivere il concerto di ieri sera. Senza spendere ulteriori parole sulla struttura che lo ha ospitato (l’Ippodromo di Capannelle), debbo dire che ho assistito ad una performance di livello altissimo. Ben Harper ha intrattenuto i fedelissimi, che sono intervenuti nonostante la minaccia di pioggia, hanno goduto con la bocca aperta, ed il naso all’in sù, della meravigliosa voce di Ben Harper, ma soprattutto, per chi ama la chitarra, della bravura con la quale Ben si destreggia con questo strumento. Ritengo questo ragazzo uno dei più forti chitarristi al mondo, e ieri ne ha dato prova. Molto curioso, e assolutamente piacevole il suo stile. Suonare la chitarra tenendola sulle ginocchia, a faccia in su, è una sua prerogativa, oltre che invenzione. Sostanzialmente ieri abbiamo assistito a due concerti. Una prima parte molto roccheggiante, ed una seconda, quando tutti pensavano che il concerto fosse finito, ci ha regalato una parte molto melodica. Quest’ultima, qusi per intero è stata cantata e suonata solo da lui e le sue varie chitarre. Sicuramente coraggiosa la parte totalmente strumentale che, per i non appassionati di chitarra, poteva risultare un po’ noiosa, mentre per chi vorrebbe suonare la chitarra un decimo di come la suona lui, è stato uno spettacolo unico. Giudizio complessivo molto buono. Altissima la qualità della musica, Ben spicca su tutti, unica la sua voce. Mi è sembrato che le signore che sono intervenute, hanno molto apprezzato anche Ben Harper uomo. Gli apprezzamenti che venivano urlati non erano solo per le sue doti canore-musicali. Ma forse mi sto sbagliando.
Kasabian
L’altro ieri sera la serata era calda a Roma, e a Capannelle ancora di più. Si esibivano infatti i Kasabian che con la loro musica hanno contribuito a rendere il clima rovente. Era tanto tempo che non vedevo la gente ballare in quel modo. Salti e urla sincopate che, solo apparentemente, non avevano una logica. E’ stato un po’ come assistere a due concerti in uno. Nella prima parte i Kasabian hanno cantato molti pezzi della loro ultima fatica: “Velociraptor”, mentre nella seconda parte si sono esibiti nel loro repertorio elettronico. Quest’ultimo, a metà tra la house music, il rock spinto e la musica elettronica. Questo miscuglio di suoni che è un po’ il loro stile. Sinceramente ho molto apprezzato la prima parte, sia la sequenza dei brani che la loro interpretazione dal vivo, che ha fatto emergere l’affiatamento del gruppo e la bravura dei singoli elementi. Nella seconda parte, ho apprezzato il coraggio e lo stile. Impressionante vedere tutte quelle persone ballare, segno che il mio gusto musicale ha sicuramente dei detrattori. Tom Meighan ha tenuto benissimo il palco, sin dal primo pezzo “Day are Forgotten”, ma è stato magistralmente supportato dalla sua band, in particolare dall’altro elemento storico del gruppo Sergio Pizzorno, che, probabilmente in virtù delle sue chiare origini italiane, ci ha tenuto a mettere la firma sul concerto. Goodbye Kiss, è stato il pezzo che, a mio modesto parere, hanno interpretato meglio, ed il pubblico lo ha apprezzato. L’unica nota dolente, è la struttura. L’ippodromo delle Capannelle è un brutto posto per ospitare eventi come quello di ieri sera. Continuo a pensare che una città come Roma, dove si respira storia e cultura in ogni sasso, deve e può avere delle strutture che possano ospitare eventi MUSICALI di rilievo, come quello dell’altra sera. Penso sempre al concerto dei Muse che ho visto due anni fa a Wembley. Comunque, nell’insieme promossi a pieni voti tutti i Kasabian, bel concerto, bella musica, ottima energia.
Paolo Nutini in concerto
Ieri sera, su consiglio di Daniela e anche grazie al suo portafoglio, siamo andati a vedere un concerto alla Cavea dell’Auditorium Parco della musica di Roma. Si esibiva Paolo Nutini al quale, debbo confessare con molta onestà, non avevo mai dato peso. Essendo molto esigente dal punto di vista musicale, questo sbarbatello non lo avevo mai gran che considerato. Si, conoscevo qualcuno dei suoi brani, ma non mi sarei mai immaginato di andare ad un suo concerto, ed apprezzarlo. Nutini si è presentato, con un’ora di ritardo sul programma, ma ad allietarci ci ha pensato la bravissima Lisa Hannigan, quella di What’ll I do. Molto brava. Non l’avevamo riconosciuta, ma da subito abbiamo apprezzato la sua versatilità nel suonare molti strumenti a corda (chiatarra, benjo, ecc), oltre alla sua spendida voce. Tornando a Paolo Nutini, va detto che con lui si sono esibiti dei musicisti di prim’ordine. La sua band era composta da due chitarre, un basso, tastiere, batteria e tre trombe. La sua voce è molto buona, anche dal vivo, e si è visto subito che voleva fare buona impressione su un pubblico numeroso e dall’età molto variabile. Ha proposto musica di qualità, giocando molto sugli stili e mischiando il country, un variabile soft del raggae, il soul, fino alla pop-rock, mischiando simpatia ed energia, tipica di un ragazzo della sua età. Certo non possiamo paragonarlo a Pavarotti, o a Bocelli, o allo stesso Dalla, ma ha voluto provare anche lui a cantare una versione acustica di Caruso prima della sua Candy. Il risultato è stato buono dal punto di vista musicale, ma l’italiano ha lasciato un po’ a desiderare. Questo miscuglio di generi, ben amalgamato insieme, probabilmente nasce dalle sue origini miste, infatti Nutini vedei i suoi natali, il 9 gennaio del 1987 in Scozia, da padre di origini Toscane e mamma britannica. Cantautore eclettico, incide il suo primo album nel 2006 – These Streets – seguito nel 2009 dal secondo – Sunny Side Up -. I suoi maggiori successi: Candy, New Shoes, Rewind, Last request e 10/10. Una bella serata, un bel concerto in un posto, come la Cavea dell’Auditorium che è troppo piccolo per poter ospitare tutti gli artisti che un pubblico come quello di Roma meriterebbe. Bravo Paolo, anzi, come ha urlato ieri qualcuno al concerto in perfetto slang: “daje Paole!!!” mentre scrivo sto sentendo una tua canzone: These Streets.