#iorestoacasa giorno 4 – diario di una pandemia –

unnamedMai nessuno avrebbe pensato che, la nostra generazione, dovesse contrastare un virus, una pandemia che rimarrà alla storia. Questa reclusione forzata da tanti spunti di riflessione, che spaziano dalle cavolate ai concetti più seri. Dona a tutti noi, intanto una consapevolezza: il valore della libertà. Uso i social network. Trovo sempre divertente la capacità e la genialità di scherzare su tutto. In questo momento ho visto tanti commenti, audio e filmati veramente divertenti. Forse ci sono sempre stati, ma io ho mai il tempo di leggerli. Sicuramente la cosa più pesante d’affrontare è essere lontano da mio figlio. Abbiamo limitato anche i suoi spostamenti e insieme a lui abbiamo deciso che starà, tra me e la madre, una settimana per uno continuativamente. Anche questa scelta, difficile e figlia della responsabilità che dobbiamo avere tutti in questi momenti. Mi piace la risposta degli italiani. Appena ci hanno spiegato quello che stavamo passando si sono stretti tutti e, salvo rare eccezioni, sono rimasti a casa. Non solo, chi ha dovuto mettersi a disposizione della collettività, lo ha fatto senza risparmiarsi. Penso a: medici, infermieri, trasportatori, postini, dipendenti della grande distribuzione e a tanti ci stanno mettendo del loro per far passare a tutti questo momento strano e al tempo stesso terribile. Non mi sono piaciuti invece tanti tra politici e giornalisti le informazioni che ci sono arrivate sono state a dir poco contrastanti. In tanti, tra di loro, sono stati provinciali e irresponsabili. Siamo passati da: è un influenza, non abbiate paura; a attenzione è il peggior virus degli ultimi 500 anni. Frasi dette dalle stesse persone a distanza di una settimana. Abbiamo avuto giornali che hanno IRRESPONSABILMENTE pubblicato le bozze dei decreti di allargamento della zona rossa a tutta la Lombardia, prima che il governo organizzasse delle procedure di contenimento alle stazioni e agli aeroporti, ottenendo il risultato che parecchi IRRESPONSABILI, hanno preferito prendere un treno o un aereo e uscire dalla Lombardia. Questo gesto sconsiderato sicuramente avrà delle conseguenze, ma se è vero che i responsabili sono tutti quelli che si sono spostati, è anche vero che chi ha provveduto a spargere le notizie solo per il gusto dello scoop ha, se possibile, maggiori responsabilità. Questi giorni a casa con la famiglia, sono duri. La mente viaggia e cerca di elaborare quelli che potranno essere i futuri scenari. Personalmente sono ottimista. Certo è che la spallata data alla nostra già fragile economia non sarà facile assorbirla, ma è anche vero che le economie si sostengono anche con le propensioni al consumo. Quello che ci sta capitando è molto simile ad uno scenario post bellico. Dopo ogni guerra c’è voglia (ma anche necessità) di ricostruire. In questi frangenti rimboccarsi le maniche è indispensabile. Non mi è piaciuto il comportamento dell’Europa. Noi siamo visti sempre come casinisti disorganizzati, ma invece questa volta abbiamo dimostrato: disciplina e ordine, anche nel prendere delle decisioni che, in molti, hanno difficoltà a prendere. Nazioni come Francia, Stati Uniti d’America, ma anche Gran Bretagna e Spagna, stanno rimandando decisioni che, anche osservando l’esperienza Italiana, avrebbero dovuto e potuto prendere per tempo. Mi è piaciuto molto una post di una donna Belga, che, da osservatrice esterna ha fatto un post molto carino, che la racconta lunga su come ci vedono all’estero e su che invidia hanno gli altri di noi:
“ L’ Italia è come quella tipa che ha più talento di tutti, è come quella che le altre se le mangia, perché è nata bella, più bella di tutte e le altre se le asfalta. L’ Italia è come quella più ingegnosa, che ha le mani di una fata, che si inventa mille cose, perché è piena di risorse. Sa discutere di storia, di mare, di montagne, sa di cibo, di buon vino, di dialetti, di pittori, di scultori, di scrittori, di eccellenze nella scienza, non c’è niente che non sa. E quando questa tipa bella e talentuosa inciampa e cade, la platea delle sfigate esulta. È la rabbia delle poverine ingelosite, quelle al buio, perché lei è comunque bella anche quando cade a terra. Ma l’Italia è una tipa con stivale tacco 12, ovviamente made in Italy, che nessuna sa portare meglio di lei… solo il tempo di rialzarsi.”

Noi nel frattempo a casa facciamo quello che si può fare. Stiamo in famiglia, guardiamo la tv, facciamo sport, lavoriamo anche se a ranghi ridotti, portiamo il cane fuori. Mi mancano gli Amici, quello si. Sicuramente è anche un momento per stare con noi stessi. Capire quante cosa abbiamo e che diamo per scontato. Forse questo disastro ci farà vedere, con occhi diversi, con occhi consapevoli, quello che succede, anche non lontanissimo da noi. Nonostante tutto siamo fortunati.

 

Le mani e gli uomini piccoli.

pensiero-critico-499A volte ci piovono addosso delle cose brutte. Li per li ti senti arrabbiato, ti senti deluso, non capisci, anzi vorresti risolvere il problema spaccando la faccia a qualcuno, o anche peggio. Ma poi arriva una mano che ti tiene calmo, che ti fa capire che reagire così, in quel modo sarebbe sbagliato. E soffri, ma non reagisci. Sbuffi come un toro, ma non reagisci. Non reagisci perché la tua compagna ti dice di passarci sopra, di non farti sopraffare dall’istinto. Ma tu sai di essere tanto istinto. Respiri forte e guardi in faccia i  tuoi figli. La piccolina è anche buffa e ti strappa un sorriso. Inizi a sforzarti di convincerti che non fare niente è meglio. Ignori le falsità, le malignità le invidie di gente piccola che nella propria vita non ha mai combinato nulla. Anzi l’unica cosa che ha combinato è distruggere ciò che non ha mai contribuito a costruire. Magari in passato questa gente l’hai anche difesa, l’hai anche chiamata: “Amico”. Ma loro non hanno capito. Questa gente  ha continuato a distruggere tutto quello che gli altri costruivano, perché queste persone piccole non sono capaci di costruire. Vai a dormire, ma la notte è lunga, neanche su SKY fanno niente quando è tardi. I pensieri sono tanti e dormi male, ti giri nel letto, sudi anche se fuori ci sono 5 gradi. La mattina sembra non arrivare mai e, quando ti alzi, le occhiaie, una faccia sbattuta che neanche gli zombie di “the Walking dead”, e le domande che ti poni sono sempre quelle della sera prima: ma perché?? Ma sto facendo bene?? La solita vita riprende, la colazione da preparare, la merenda per la scuola del figlio più grande, che noi vediamo sempre come un bambino, ma che invece sa che qualcosa turba il suo papà. Lo sa, ma non capisce perché il suo papà è così nervoso. Perché il suo papà non fa colazione con lui. Ma dobbiamo correre, la vita non ci concede fermate, prosegue dritta senza preoccuparsi di noi. E’ così bella e cinica la vita. Il solito traffico d’affrontare, e lasciamo il figlio a scuola. La telefonata alla donna che ami, anche lei bloccata sul raccordo. “Maledetto Raccordo Anulare!!”, pensi. La testa gira, qualche messaggio, che neanche leggi, il parcheggio che non si trova, la testa che s’intasa ancora di più con le mille cose da fare a lavoro. Il momento non è facile, ma tu devi rimanere concentrato, non puoi permettere all’uomo piccolo, al fallito, di distrarti. Arrivi in ufficio, saluti senza il calore di sempre, ma: “tanto nessuno se n’è accorto!!”, pensi. Poi succede qualcosa d’inaspettato. Qualcuno viene da te, e ti porge la stessa mano della sera prima. Ma non è la tua compagna che ha ( quasi ) l’obbligo di rasserenarci, di provare a tirarti su il morale; è un collega, è qualcuno che ogni santo giorno vive quello che fai e, in silenzio, lo apprezza. Lo apprezza ma non te lo dice. Non te lo dice perché non è il momento. Quella mano ti dice: continua, vai avanti, non sei sbagliato, non sei inadeguato. Ce la stai mettendo tutta e capisci che qualcuno se n’è accorto. Quella mano sulla tua spalla, non ha apprezzato quello che l’uomo piccolo, il fallito, ha scritto. Tutte le sante mattine ti vede risolvere quei problemi che nessuno sa neanche che esistono. Quella mano ti dice, guarda stai facendo bene, e quello che ieri sera hai letto sono solo le parole di un uomo piccolo, figlio di un uomo e di una donna piccoli. Nato senza prospettiva se non quella di farsi notare parlando male di qualcun’altro. Ieri era la moglie di un tuo amico, la sera prima la propria moglie, il giorno dopo la moglie di un altro amico ancora, poi storie che solo lui e qualche altro fallito come lui può pensare vere. Solo lui, o un uomo piccolo come lui, possono credere che non siano il frutto della sua malsana inventiva. Dell’inventiva di un bugiardo. Ma intanto parla, sparla, getta fango. Tu ringrazi quella mano, ma i pensieri della sera prima ancora ti feriscono, ancora ti rendono nervoso. Testa bassa, il nuovo disco di Sting suona senza che lo ascolti veramente. Ed ecco che dopo quella mano, ne arriva un’altra e un’altra, e un’altra ancora. Il telefono squilla e qualcun’altro censura quello che sei stato costretto a leggere, comprende quello che sei stato costretto a passare. Anche le telefonate diventano due, tre, tante. Il nervosismo rimane, la giornata non è stata per niente tranquilla, non è stata per niente bella, ma il cuore ha cambiato colore. Tutte quelle mani che si sono poggiate sulla tua spalla e che ti hanno accompagnato, ti hanno fatto comprendere meglio che non sei solo. Che forse il nervosismo dell’uomo piccolo, del fallito, è dettato dal fatto che si è accorto, prima di te, di quanto sei fortunato. E tutte quelle cattiverie che hai letto la sera prima rimangono sempre false, sempre cattive, ma ti hanno aiutato. Ti hanno fatto comprendere che le persone intorno a te sanno che stai facendo bene, che stai lavorando onestamente e che ce la stai mettendo tutta. Forse l’uomo piccolo, il fallito, non sa di essere invidioso. La giornata è finita, ti accorgi che non hai neanche pranzato. Hai lavorato e pensato, non hai avuto tempo per fare altro. Pensato a tutte le telefonate e tutte le mani che ti hanno sostenuto. Torni a casa e mentre cammini con le cuffie nelle orecchie, che coprono tutti i rumori, pensi ancora. Pensi che il Robbie Williams ha fatto un altro bel disco, ma pensi anche che l’uomo piccolo è sempre più piccolo, che il fallito ha fallito ancora una volta, ma che soprattutto è sempre più solo, mentre te hai tante mani nella tua testa, tante telefonate nelle tue orecchie di persone che sanno. Sanno che te con l’uomo piccolo, con il fallito, non hai mai avuto nulla a che spartire, anzi come tutti i parassiti, per un periodo della sua vita, ha succhiato il sangue della tua vita e tu non te ne sei neanche accorto. Lo hai portato in posti che lui non avrebbe mai neanche immaginato di poter frequentare, di poter vedere. Ma lui era solo li a succhiare il tuo sangue, a sfruttarti. Di quel parassita ora rimane solo un piccolo buco, un piccolo segno che ci metterà pochissimo tempo a rimarginarsi.

Texas e Florida…

911 MiamiCome ogni vacanza, prima o poi si torna a casa. E quando si torna a casa, con il pensiero, si fanno sempre i bilanci. Quest’ultima: in Texas e in Florida, è stata, seppur non lunga, una vacanza molto intensa. Siamo riusciti a fare e a vedere molte cose, dando un taglio molto “cool” alla trasferta Americana. Al contrario di quello che mi aspettavo prima della partenza, Miami mi ha molto deluso. Un posto turistico, dove tutto è costruito per fare business. Città come New York, San Francisco sono decisamente molto più vivibili, sia da turista che, a mio avviso, da cittadino. A Miami sembra fatto tutto per catturare l’attenzione, e quindi il denaro, del passante. Le luci sembrano quelle di un parco dei divertimenti, e tutti i locali sono costretti a caratterizzarsi, rischiando, a volte, di risultare delle caricature. Il clima però è fantastico e di posti da vedere intorno ce ne sono moltissimi. Purtroppo il tempo che avevamo a disposizione non era tanto, la Florida meriterebbe almeno due settimane, ma abbiamo avuto la forza, e anche il coraggio, di arrivare: alle Everglades prima e a Key West, dopo.

CoccodrilloLe Everglades sono un parco naturale che sta preservando tutta la zona paludosa a sud della Florida, con tutto il suo patrimonio di flora e fauna. Ci sono rettili di ogni tipo: dagli iguana agli alligatori. Abbiamo rischiato d’investire, in questa zona, un iguana che stava per attraversare la strada. Arrivati al parco, non poteva mancare il caratteristico giro su un’Airboat, dal quale siamo scesi letteralmente fradici di acqua salmastra. La puzza non è stata piacevole, ma per lo spettacolo che abbiamo potuto vedere, ne è valsa la pena. I paesaggi sono sconfinati, immensi, e quando il cielo blu intenso, s’incontra con il verde, che li la fa da padrona: lo spettacolo è servito. Cosa dire di Key West? 200 Km di autostrada perfettamente efficiente che si snoda sulle isole zero milecaraibiche che portano sino all’ultima, appunto Key West. Qui c’è anche il punto più a sud degli Stati Uniti d’America. Un posto dove bisogna fare la fila per una fotografia. Tornati a Miami, vista little Avana, che secondo me è il vero cuore pulsante della città, il resto è solo shopping. Lincoln Road è un centro commerciale a cielo aperto a South Beach. A Miami però non poteva mancare una partita dei Miami Heat. Li si vede la capacità, tutta anglosassone, di organizzare un evento che, qualunque esso sia, raggiunge iHeatsconnotati: “del memorabile”. Bellissima esperienza anche, e soprattutto perché, i celiaci possono gustare i loro hot dog “Gluten Free”. (vero Daniela??).

La parte iniziale del viaggio, l’abbiamo passata ad Austin, in Texas. Un posto di cui fino a qualche mese fa ignoravo l’esistenza. Una sera, prima dell’estate, a casa di Daniela Andrea ci ha detto di questo loro viaggio per andare il Gran Premio di Formula uno degli Stati Uniti, che si svolge per l’appunto ad Austin, e da li abbiamo iniziato a sbirciare i voli. Insieme a Lidia e Max, abbiamo costruito un viaggio nel quale il Gran Premio è stato solo il pretesto per partire. Talmente pretesto, che infatti non lo abbiamo visto. L’idea che avevo era quella di andare li e trovare il lato oscuro dell’America. SaloonQuello lontano dalle città più blasonate e più turisticamente interessanti. Invece mi sbagliavo. Austin, come tutto il Texas mi ha fatto capire che l’america, quella vera, sta li. Fatta di gente seria, che ama il proprio paese e si batte per rendererlo migliore. Gente che se vede un turista in difficoltà gli da un passaggio con la propria autovettura, oppure che se t’incontra con la cartina in mano, spaesato come tutti i turisti, smette di correre e ti chiede “Can I help you??”. Fatta di gente così, quelle persone che senza conoscerle ti offrono la cena, oppure si sforzano di capire il tuo inglese stentato. Bella gente. Che si alza la mattina presto per andare a lavorare, ma la sera fa tardi per sentire del buon country blues, in un locale di Soco. E ce ne sono tanti a Soco di locali fichi per andare ad ascoltare musica. Gente che si veste di arancione e in ottantamila, Calcio d'iniziovanno a tifare per la loro squadra di Football universitario: i “Longhornes”. Tutto è grande in Texas. Le macchine sono immense, i negozi sono specifici ed immensi, anche se la città non è smisurata. Mi ha colpito un negozio che vendeva solo stivali. Si proprio stivali texani. Erano tantissimi, e di ogni tipo, colore o misura. C’era quello fatto con la pelle di serpente, quello trattato con l’olio, quello da 150$, ma ne ho visto un paio da oltre 2.000$. E’ divertente immergersi nel loro modo di vivere. Questa città non è abituata ad ospitare il turismo di massa continuo. Infatti i taxi non funzionano. Loro ospitano eventi importanti, in periodi programmati, e questo li preserva dall’estinzione delle loro origini. E’ una città costruita per gli americani, anzi, costruita per i texani. A loro uso e Hammerconsumo. E’ bello poter visitare una meta gustandone il lato autoctono. Il poi posto diventa relativo. A volte un viaggio ti lascia di più avendo potuto assaporare il contatto con la gente, che per quello che esprimono i suoi monumenti. Se mi costringete a scegliere una citta in cui vivere, tra quelle che ho visitato in questo viaggio, di sicuro sceglierei Austin. Di sicuro il Texas. Di questa vacanza va anche detto che, segreto del suo successo è stato anche, e soprattutto, la compagnia. Per Dany e me: Lidia e Max sono stati dei compagni di viaggio stupendi. Sempre carini e disponibili a macinare chilometri ed eventi. Dany poi, ha trovato in Lidia una instancabile compagna di Shopping. Peccato per Andrea e Marika che siamo riusciti a vedere Big Daddypoco. Ma quel poco è stato comunque tanto. Simpatici anche i nostri nuovi amici americani Mark, Michael e Kevin, oltre alle loro signore. Unica “nota negativa” è stato il cibo. Per colpa dell’America, qualche chilogrammo in più ce lo siamo portati a casa. Ma anche questo fa parte del bello di un viaggio. Nella mia memoria rimarrà sempre scolpito il “Big Daddy” un piatto gigantesco di costolette di non so quale animale, affogate in una salsa barbecue fantastica. Ovviamente buonissimi anche gli Hamburger.

Il Lupo.

lupoIl lupo è un animale della famiglia dei canidi. Mediamente più grande dei comuni cani, vive in branco. La funzione di ogni lupo è organizzata all’interno del branco, con una struttura sociale fortemente gerarchica. Il branco è guidato da due individui: il maschio e la femmina alfa. Solo uno dei due componenti però risulterà essere realmente il capo. Nonostante questa forte gerarchia, ogni lupo non risponde al capo nel senso umano del termine. Ogni lupo possiede la libertà e la facoltà di scelta. Decide liberamente cosa fare, e dove andare, ma ogni scelta è strettamente correlata al senso di collettività. Ogni azione è finalizzata alla crescita, alla salvaguardia e alla tutela del branco. La maggior parte delle coppie nei lupi è monogama. Questo riporta al fortissimo senso di fedeltà riscontrabile anche nei cani, prossimi discendenti dei lupi. La grandezza del branco varia a secondo della possibilità di alimentarsi. Il numero può variare da due a venti. In branchi molto numerosi, oltre alla coppia alfa si possono trovare degli esemplari beta. La funzione di quest’ultimi consiste nell’aiutare gli alfa nella gestione del branco. All’interno di branchi numerosi vi sono anche dei lupi, cosìdetti omega. Solitamente è l’esemplare più debole, che all’interno del branco riveste un ruolo alla base della catena gerarchica, ma nei rapporti con l’esterno risulta avere un ruolo importante come ogni altro membro del branco stesso. Anche nella caccia, il branco è fondamentale. La cooperazione, la collaborazione, trova la massima espressione nelle battute di caccia che questo animale compie per sfamare se stesso e gli altri membri del branco. Questo innato senso, li rende assolutamente letali. Non esiste animale che per: peso, o dimensioni possa contrastare un branco di lupi. L’habitat del lupo è caratterizzato da aree di pianure, foreste montane e radure. Un lupo copre mediamente un territorio di 100 km quadrati. Il colore del manto varia a seconda del luogo in cui il lupo si trova. Ha rischiato l’estinzione, fino a qualche anno fa, ma ora, grazie ad un’attenta opera di tutela, il lupo sta ripopolando la crosta terrestre. E’ presente, maggiormente in Europa e negli Stati Uniti. In Italia si può trovare su tutta la dorsale appenninica e sulle Alpi. E’ notizia di pochi giorni fa che un branco si è stabilmente fissato alle pendici del monte Tuscolo, a Castelli Romani. Più precisamente a Frascati.

Ciao “Dottò”!!!

Nella vita di ognuno di noi esistono dei riferimenti. Per alcuni possono essere i genitori, per altri degli amici, per altri altre figure vicine. Ce ne possono essere anche più di una, ma di certo non ce ne possono essere essere molte. Per me una di queste figure è stata certamente mia mamma, ma ce n’è stata anche un’altra, sempre disponibile, sempre presente: Renato. E’ stato il medico che mi ha fatto nascere. Mamma mi raccontava sempre che avevo tre giri di cordone intorno al collo, e solo la sua prontezza mi ha salvato. Non doveva essere li, ma c’era, ed ha aiutato l’ostetrica a farmi nascere. Ha salvato mamma la prima volta che la sua malattia si è manifestata, e questo ha permesso a tutti noi di poterla avere per altri 12 anni. Ha permesso a lei di poter conoscere, e godersi, i suoi nipoti. Renato, ogni volta che ne avevamo bisogno c’era. Mi ha curato mille mie influenze da bimbo, mi ha fatto decine di punture. Ha curato migliaia di persone. Sempre con il sorriso, sempre con l’affetto che solo i medici di una volta erano capaci di dare. Se ne è andato via un pezzo di storia, un riferimento importante nella vita di tutti noi, ma anche, e soprattutto, nella vita dei suoi figli. Purtroppo in questi ultimi anni la malattia, quella stessa malattia che lui ha combattuto per una vita negli altri, lo aveva indebolito. Addio Renato, addio “dottò”, come diceva mio nonno, ti porterò sempre nel mio cuore.

Comodore 64…

Consolle Commodore 64

Consolle Commodore 64

Leggevo, qualche giorno fa, che il Comodore 64 ha compiuto 30 anni. A me il Comodore 64 scatena una serie di ricordi, tutti legati a questa macchina, all’epoca innovativa. Il primo ricordo è legato a Babbo Natale. Con il Comodore 64, ho scoperto che Babbo Natale non esiste. Ovviamente lo sapevo già, ma ricordo mia madre beccata in piena notte a metterlo sotto l’albero. Quel misto tra la gioia di aver ricevuto il regalo che volevo, e la delusione nello scoprire che quel signore ciccione, con la barba bianca era solo una invenzione del consumistico Natale. Il secondo ricordo è legato a Mauro. Il mio amico d’infanzia compagno di mille avventure nella mia cucina. Infatti attaccavamo il Comodore alla televisione a colori della cucina, mettevamo la cassetta, e passavamo quei 15/20 minuti buoni ad aspettare che il gioco si caricasse. Si avete capito bene, nella cassetta, io non avevo il floppy. E quei 15 minuti passavano con le dita incrociate, sperando che lo caricasse e non ci fosse alcun errore. Quel registratore begie con il numeratore di giri. Non passava mai il tempo. Un altro ricordo che mi viene in mente, sono le prime prove di programmazione. Quei primi tentativi che abortivano sempre troppo presto. Se ho scelto informatica alle superiori, un po’ lo debbo proprio al Comodore 64. Un altro abbinamento mentale che mi arriva velocemente, legato alla consolle Comodore, è l’incendio del bagno di casa mia. Era pomeriggio, e mia mamma doveva andare in palestra. Mi ricordo ancora che era una giornata di primavera, c’era tanta luce e il clima era piacevole. Il bacio sulla fronte datomi da mia mamma, e la sua frase classica: “giudizio!!!”. Io e Mauro avevamo tutta casa per noi, e quello era il periodo delle sfide a tennis sul Commodore 64. Non c’era uno dei due che era più forte in assoluto, ce la giocavamo sempre. A metà di una partita, un suono al campanello. Era mia sorella, che mi diceva che andava da Riccardo. Mi alzo, vado ad aprire, ma tornando in cucina, vedo uno strano bagliore dalla porta del bagno. Non so perchè, ho pensato subito ai marziani. ET era appena uscito al cinema. Mi avvicino per vedere, apro la porta del bagno. La maniglia scottava, quindi gli do una spinta. In quell’istante una lingua di fuoco esce nel corridoio. La scena che mi si presenta davanti è di fiamme e fumo dapertutto. Scappo alla porta d’ingresso gridando a Mauretto che aveva preso fuoco tutto. Apro la porta di casa e inizio a gridare aiuto. Mauro prende una brocchetta da un quarto, la riempie, e prova a spegnere quello che oramai era un incendio con l’acqua che avanzava dopo la sua corsa. Per fortuna il mio vicino di casa. Lui che lavorava nelle sale macchine delle navi sapeva come domare un incendio. Lo ha praticamente spento lui. Io nel frattempo, tutto nero in faccia e senza scarpe, sono corso dai pompieri, a piedi, per chiamarli. Mi hanno riportato a casa mia con il camion pompa. Dirlo a mia mamma, e poi a mio padre è stata la parte più difficile. Il loro primo pensiero è stato che fossi stato io a dare fuoco a casa. Non ero quello che si definisce un bambino tranquillo. La casa è stata inagibile per una settimana. Sono incredibili i danni che può fare un incendio, anche se circoscritto. Sono passati tanti anni, e quella forma primordiale di computer è ancora nel mio cuore. Io poi ero uno dei fortunati. Esisteva infatti una versione più modesta in casa Commodore, chiamata Vic 20. Sono molto legato a quei ricordi, anche se mi rendo conto che sono passati tanti anni, forse troppi e sto scrivendo queste righe su una macchina solo lontana parente di quella consolle. Ma quanto affetto provo per quell’oggetto. Probabilmente sono legato anche a quei momenti, a quel contesto, alla mia adolescenza che è stata veramente bella. Il Commodore 64 mi ricorda tutto questo.

Avezzano, e si vince ancora…

La scorsa domenica ho avuto l’ultimo impegno, di questa stagione, con mia squadra: il torneo di Avezzano. Oramai è qualche anno che regolarmente ci scontriamo con questi ragazzi che, come noi, è composta da “diversamente giovani” appassionati di rugby, molto motivati. Il torneo, come sempre è ben organizzato, e quest’anno erano otto squadre a scontrarsi.  Complice il caldo e il sole, che sembrava quasi quello di agosto, è intervenuta tanta gente ad assistere alle partite. L’organizzazione, per motivi logistici oltre che di tempo, ha diviso i teams in due gironi da quattro squadre. Secondo il regolamento, alla fine degli scontri dei gironi: la quarta del primo girone, si sarebbe scontrata con la quarta del secondo girone, e così via, sino a scontrarsi la prima, contro la prima. Da Frascati siamo partiti in sedici, e contando che a rugby si gioca in quindici, non avevamo tantissimi cambi. Gli infortuni avuti nei precedenti impegni hanno letteralmente decimato la nostra squadra, che, seppur numerosa nel complesso deve fare i conti con una stagione lunga e mai così funesta da questo punto di vista. Il nostro girone era composto da tutti amici: Civita Castellana, Appia Rugby e Lazio. Il primo incontro si è svolto contro il Civita Castellana, un incontro duro, ma corretto. Non abbiamo dilagato, ma tra il caldo ed i piccoli infortuni che si sono subito avuti, è stato sicuramente un bel risultato. La seconda partita l’abbiamo avuta con i “giovanotti” della Lazio. Con qualcuno di loro ci giochiamo, di tanto in tanto, insieme, ma questo non ha impedito alla partita di essere quel giusto mix tra: correttezza e la classica e sana rudezza del rugby. Anche questo incontro lo abbiamo archiviato non senza troppa fatica. Ma non per demerito degli avversari, ma solo perché abbiamo saputo interpretare un bel gioco. La terza partita l’abbiamo avuta contro l’Appia Rugby. Come al solito la squadra dell’acquedotto si è ben comportata. Contro di noi poi sono sempre molto motivati. Ci hanno fatto faticare, ma anche con loro, abbiamo avuto la meglio. Gli acciacchi si sono iniziati a far sentire, e con essi, il primo infortunio serio. l’Animale, ne avrà per un mesetto, a causa di un problema al gomito. Tre vittorie su tre però, non davano margini di discussione su chi aveva vinto il girone. Dall’altra parte i padroni di casa dell’Avezzano si erano ben comportati e chiudendo il loro girone in testa. La finale sarebbe stata Avezzano contro l’ASD Old Rugby Frascati. La pausa per il pranzo è stata da un lato benedetta, ci ha permesso di rifocillarci e di riposare, ma dall’altro ci ha fatto sentire tutti i dolori muscolari, le botte prese e tutta stanchezza non solo di quella giornata. Intorno alle 17.00 le due squadre sono scese in campo. Il manto era perfetto, il clima caldo, e sulle tribune gremite i padroni di casa avevano sicuramente molti supporters. Com’era prevedibile gli scambi sono stati subito quelli di una partita vera. Ma l’Avezzano fa molta fatica a superare la metà campo dei Frascatani, che, in maniera molto ordinata riescono a non far avanzare gli avversari. Dall’altra parte qualche errore di troppo non ci permette di andare in meta. Stanchezza, dolori e caldo non ci permettono di andare in meta. In particolare una meta fatta da parte mia, viene annullata da un placcaggio alla disperata, ma efficace. Il primo tempo finisce zero a zero. Con l’inizio del secondo tempo, l’aumentare della stanchezza fa aumentare anche il nervosismo. Volano parole grosse e anche qualche spintone. Ma quando sembrava che il risultato non si sarebbe sbloccato, succede che: l’esperienza va in meta. E infatti Marco Salvatori, con una meta d’intercetto e più di metà campo percorsa, marca il punto decisivo. Un corsa che gli costa la sostituzione, e che forse sta ancora smaltendo, ma la testardaggine e la voglia di vincere, lo ha fatto arrivare sino a meta. La partita termina sul risultato di una meta a zero dopo pochi minuti. Gli Old Rugby Frascati, mantengono il titolo già conquistato lo scorso anno. Purtroppo la giornata durissima, ma soprattutto gli infortuni: ben cinque giocatori sono tornate a casa malconci, non hanno permesso a tutti di rimanere al terzo tempo. Ci rifaremo sicuramente l’anno prossimo, per quanto riguarda il momento dove non abbiamo certamente rivali: il terzo tempo. Sul campo, anche questo risultato è stato archiviato. Bravi noi.

Quando essere “Beerbante” è un complimento…

Tutti i partecipanti

Tutti i Veterans

A volte certi incontri iniziano male, ma poi, con il tempo, e soprattutto vivere alcune esperienze ti fa capire quanto si possa sbagliare facilmente. Abbiamo partecipato ad un torneo a Perugia, lo scorso anno. Tra le squadre partecipanti c’erano i Beerbanti di Ascoli. Il torneo Perugino è andato benissimo, le abbiamo vinte tutte, giocando un bel rugby. Poi è arrivato il momento d’incontrare i ragazzi di Ascoli. Si vede che non sono veterani del rugby, ma ce la mettono tutta. Noi siamo più forti, e anche questo si vede. I placcaggi che subiscono gli ascolani sono corretti, ma duri. Si accendono le prime scaramucce. Finisce il primo tempo e loro non capiscono perché ci mettevamo tanta foga, perché giocavamo così duro. Per noi invece era rugby, solo rugby, e davanti avevamo una squadra da battere. Perché a Frascati amiamo lo spirito del rugby, degli Old, ma amiamo anche vincere. A metà del secondo tempo, un nostro placcaggio che non lasciava scampo all’avversario, sulla linea di meta ascolana, arriva ad esasperare gli animi. La scelta, molto opinabile, di lasciare il campo da parte dei Beerbanti, questo è il loro nome, ci ha lasciato basiti, e letteralmente senza parole. Nel rugby non si abbandona mai il campo. Mai! Lo strascico di polemiche, durante e dopo, è stato lunghissimo, e con scambi, a volte, al limite dell’offensivo. Dopo qualche giorno, l’intelligenza delle parti, ma soprattutto lo spirito supremo del nostro sport ci ha fatto dare l’appuntamento, sul campo, per appianare i diverbi. L’occasione è stata quella del torneo di Ascoli, svoltosi il giorno della festa della Repubblica, il 2 giugno. Nei giorni precedenti, abbiamo rischiato di non andare, un po’ gli infortuni, un po’ i molti impegni sportivi che la nostra squadra ha sostenuto ultimamente ci ha decimato. La voglia di andare però era tanta. Talmente tanta che il nostro capitano, Stefano Marcotulli, a dispetto di uno strappo sul quadricipite ha voluto esserci. Ed esserci per giocare. Alla fine eravamo in venti. Tutti motivati al punto giusto, in barba a chi diceva di non andare. Il viaggio in pulman è stato piacevole, il clima era giusto, e al seguito c’erano anche qualche nostra signora e soprattutto dei bambini. Siamo arrivati ad Ascoli alle 13.30, ed il colpo d’occhio è stato piacevole da subito. Un campo d’erba curatissimo, ed intorno alberi e prati. Non potevano mancare il chiosco delle olive ascolane e quello della birra. I ragazzi di Ascoli, hanno voluto incontrare subito noi. La prima partita infatti si è tenuta alle 14.30. In campo eravamo 15 contro 15, ma la loro panchina era molto folta. La partita non è stata per niente facile. Faceva un caldo pazzesco. I ragazzi Ascolani, erano motivati, e certamente non era la stessa squadra di Perugia. Questa volta placcavano duro anche loro. Ma tutti eravamo attenti ad essere corretti. Più attenti del solito direi.Nella prima fase del primo tempo la partita è stata sempre in bilico. Solo un tremendo uno due, nel finale del primo tempo, ci ha permesso di controllare l’incontro nel secondo. I ragazzi di Ascoli sono migliorati, ed hanno giocato una bellissima partita. Neanche l’apporto in campo del grandissimo Serafino Ghizzoni ha potuto evitare loro la sconfitta. L’abbraccio, ed il tunnel finale, in onore dei Beerbanti, sancivano la fine della discussione che durava da Perugia, e aveva lasciato un po’ tutti con l’amaro in bocca. Tutto era tornato apposto ed ora sentivamo di avere dei nuovi amici. Le partite seguenti sono state contro i ragazzi di Viterbo, che però rimaneggiati, non ci hanno dato molto filo da torcere e  contro il Cesena, con il quale non siamo stati capaci di andare oltre lo zero a zero. Quest’ultima partita, è stata poi interrotta a causa di un arbitro, probabilmente, non all’altezza della bella partita che si stava giocando. E’stato piacevole, al termine delle partite e dopo la doccia, sdraiarci sull’erba a rilassarci un po’. I bambini avevano giocato tutto il giorno e le signore avevano approfittato per prendere quel sole, che fino ad oggi, ha fatto fatica a farsi vedere. Purtroppo la nostra infermeria doveva segnalare altre due presenze: Stefano Marcotulli, ha avuto una ricaduta, e lo strappo è riemerso, forse peggio di prima; Danilo Di Nicola, ha avuto un esordio breve e triste, giocando pochi minuti e lussandosi una spalla. Cose che capitano nel nostro sport.

Tutti aspettavamo l’inizio del terzo tempo li. Invece i nostri amici ci hanno fatto salire sul pulman, e fatto seguire Emilio su una Smart. Ci ha portato in una immensa sala, già piena di gente, dove si sarebbe svolto il terzo tempo. L’organizzazione era di altissimo livello. Lo si poteva vedere dai grembiuli dei Beerbanti e delle Badanti, da come si muovevano e dal fatto che tutti sapevano quello che c’era da fare. La serata è volata e tra del buon cibo, canti ed anche un siparietto fatto da alcuni Beerbanti si è fatta quasi mezzanotte. E’ stato sicuramente il miglior terzo tempo a cui abbia mai partecipato. E tornando verso casa, stremato per la giornata dura, riflettevo sul fatto che ancora una volta il rugby, che sul campo ci ha fatto affrontare come belva feroci, fuori dal campo ci ha fatto abbracciare come fratelli. Complimenti ragazzi siete delle splendide persone. Non vedo l’ora di avervi ospiti da noi, sperando di riuscire ad organizzare un evento bello come il vostro.