La Satira e il rispetto.

Charlie Hebdo, vignetta su terremoto in Italia

Probabilmente non è chiaro. L’indignazione di tanti, della maggioranza di noi, non è legata al messaggio che la vignetta voleva dare. Quello è chiaro a tutti. La denuncia a chi doveva fare e non ha fatto, è lampante e tristemente noto. L’indignazione nasce dal fatto che la satira non può prescindere dal rispetto. Il rispetto per chi è stato vittima di un terremoto, per chi è morto, per chi ha perso un figlio, un genitore, una persona cara o semplicemente la casa o tutti i suoi averi. Nel giro di pochi minuti, queste persone, sono passate dalla serenità di una serata di Agosto, all’incubo che arriva in piena notte. Incubo infame perché colpisce mentre si dorme, mentre quelle persone si sentono protette dai muri di quelle case che si sono sgretolate come fossero costruite con la farina. La libertà di espressione, di stampa e anche di satira è un bene importante, che va difeso a tutti i costi. Va difeso perché prima di noi c’è stato qualcuno che ha lottato per questi diritti. Ha lottato e magari ha versato sangue, sudore. Certo l’Italia non è il paese migliore al mondo per vivere se quello che si cerca è l’accezione più alta della legalità e, con buona probabilità, se quello che è successo ad Amatrice, e tutto intorno, fosse successo in altri posti, probabilmente non ci sarebbero stati tutti quei morti e tutte quegli edifici distrutti. Sicuramente i soldi per gli adeguamenti sismici si sarebbero spesi meglio. Tutto questo va denunciato, va chiarito e mi sembra che la magistratura si sia già mossa. La satira questo lo può e lo deve fare. La satira ha questo compito, ma non deve confondere chi queste ingiustizie le subisce da chi le genera. I morti, gli sfollati sono le vittime e per questo vanno rispettati, a partire proprio da chi fa satira. Charlie Hebdo, personalmente, non mi piaceva prima e tanto meno mi piace adesso. Lo dicevo anche in un precedente post, scritto subito dopo gli attentati di Parigi ( https://alessandrodigiulio.com/2015/01/17/non-sono-charlie/ ), non si deve e non si può essere sempre “irriverenti”. La satira è bella quando rispetta chi subisce le ingiustizie e attacca chi le commette. Facile nascondersi dietro una matita e dichiarare “noi di Charlie siamo così, prendere o lasciare”. Troppo facile. Sarebbe troppo facile dichiarare che una rivista, praticamente fallita, ha risolto tutti i suoi problemi economici, proprio grazie all’edizione seguente agli attentati barbari che ha subito. Le persone vanno rispettate. Vanno rispettati gli Italiani, vanno rispettati i terremotati, vanno rispettati i mussulmani, vanno rispettati i francesi, vanno rispettati tutti, ma soprattutto vanno rispettati i morti, sia che siano stati uccisi per mano di un gruppo terroristico, sia che siano rimasti uccisi sotto le macerie di una casa che ha tremato per un terremoto. Mi piace essere libero, e mi piace che tutte le nostre libertà vengano tutelate, ma penso che ci sia il momento per fare satira, quello per denunciare con forza delle nefandezze, ma c’è anche il momento per il silenzio. Il silenzio che è dovuto al rispetto che si deve ai morti: francesi, italiani, o di qualsiasi parte del mondo. Non ero Charlie all’ora, non lo sono adesso e, penso che, non lo sarò mai, mi auguro solo che qualcuno chieda scusa. Spero solo che qualcuno di Charlie chieda scusa. Chi fa satira dovrebbe avere una sensibilità superiore alla media, dimostratelo!

Terremoto, un interessante articolo…

In questi giorni quante domande ci hanno riempito la testa, quanti dubbi, quante perplessità, ma soprattutto quante volte abbiamo avuto la sensazione che non ci stessero dicendo tutto. Ho trovato questo articolo sul Corriere della Sera, segnalatomi da un amico, e ritengo che sia molto pertinente e chiaro. Lo posto

I picchi più intensi dei terremoti che hanno colpito la pianura Padana si sono mossi nel tempo, non hanno cioè colpito sempre lo stesso luogo. Dove si sono scatenati?
I geofisici scrutano con attenzione i punti in cui la terra trema più violentemente perché rappresentano dei punti di riferimento attorno ai quali costruire delle spiegazioni su quello che succede nel sottosuolo. Si tratta di un’arte complicata dal fatto che non sono note in dettaglio le caratteristiche sotterranee e, soprattutto, come il suolo stia reagendo dopo la scossa violenta (5.9 della scala Richter) del 20 maggio scorso, preceduta nella stessa area qualche ora prima da un sisma della magnitudo di 4,1.
L’ipocentro era a 6,3 chilometri di profondità tra le provincie di Modena (Finale Emilia), di Ferrara, Rovigo e Mantova. Immediatamente dopo venivano rilevati un paio di picchi (il maggiore 5.1 della scala Richter) che colpivano invece leggermente più ad est. Ma a segnare l’andamento in maniera più marcata e nella direzione opposta, cioè verso ovest, era il grappolo di terremoti del 29 maggio (5.8 della scala Richter, il primo) seguito rapidamente da altri due con valori intorno ai cinque gradi (5.3 il massimo). Questa è stata la giornata con il maggior numero di picchi massimi scatenati tutti nella mattinata.
L’evento allargava il fronte del sisma di una decina di chilometri raggiungendo così i cinquanta chilometri.
Il terzo atto si registra il 3 giugno (con 5.1 della scala Richter). E si manifesta nella stessa area del precedente del 29 maggio, quindi sempre in direzione ovest.

A questo punto si può pensare che, se ci saranno altre scosse, continueranno sempre verso occidente?
Naturalmente non si può sapere perché è impossibile predire quando, come e dove si manifestino. Si può per il momento tracciare un andamento che servirà poi, una volta il fenomeno sia ritenuto concluso, a descrivere il suo svolgimento e tracciarne la storia. La migrazione dei picchi, cioè il loro andamento, è interessante per ipotizzare ciò che accade.

Ma perché questo modo di procedere?
La prima scossa, la più violenta, è quella che ha segnato l’evento. Tutte le altre che si stanno succedendo sono ritenute la coda del colpo più intenso. E rientrano in un quadro conosciuto e ipotizzabile.

Qual è il meccanismo che provoca la successione degli eventi nel tempo?
Tutto avviene in una fascia di sottosuolo tra i dieci e i quindici chilometri di profondità. L’energia che si era accumulata in centinaia di anni, ad un certo punto si è scaricata il 20 maggio causando il primo sisma. Ma quel giorno il livello della sua intensità non aveva evidentemente liberato tutta l’energia generata dalla spinta degli Appennini verso le Alpi. Anzi se ciò fosse accaduto si sarebbe verificato un terremoto ben più forte dei 5.9 gradi di magnitudo con effetti ancora più disastrosi per l’ambiente e soprattutto per la popolazione.

Da quel momento massimo la rimanente energia dove è finita?
Continua ad uscire con gli eventi che vengono registrati in grande numero. La quantità totale deve essere stata consistente se riesce a farsi sentire periodicamente con livelli che superano i cinque gradi oltre alla intensa sequenza di piccole scosse.

Ma, in pratica, che cosa sta succedendo nel sottosuolo?
Tutta l’area caricata nel tempo si sta rompendo in piccoli pezzi lungo una linea di faglia est-ovest continuando un processo innescato il 20 maggio con la rottura più rilevante. Il punto è che il tipo di frammentazione delle strutture sotterranee dipende dalla distribuzione delle caratteristiche geologiche che i geologi non conoscono e non possono certo immaginare a tavolino.

Quindi il fenomeno potrebbe proseguire a lungo?
Questo non è possibile dirlo anche per un altro motivo. Oltre alla quantità di energia che entra in gioco e deve sfuggire, interviene un fenomeno di influenza nella sequenza delle fratture che è oltremodo eterogeneo e va a complicare ulteriormente le cose e, insieme, la loro spiegazione.
8 Come è possibile tenere sotto controllo una situazione così diffusa e complessa?
L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) segue gli eventi avvalendosi della «Rete accelerometrica nazionale-Ran» distribuita in tutte le regioni della Penisola. Nel 1997 era gestita dall’Enel e disponeva di 237 stazioni analogiche. Oggi invece è controllata dal Servizio di monitoraggio sismico del territorio della Protezione Civile e, dopo aver iniziato nel 2007 la conversione della tecnologia, adesso è formata da 464 stazioni digitali che convogliano i dati al centro di acquisizione Ran di Roma.
Tutti gli strumenti misurano le accelerazioni del suolo.
Dopo il primo sisma nella Val Padana sono state installate altre stazioni mobili per aumentare il dettaglio nel controllo del fenomeno. Nell’occasione sono scesi anche i geofisici francesi con i loro apparati per cui, complessivamente, si sono aggiunti oltre una trentina di nuovi rilevatori.

(Le risposte sono state redatte con la collaborazione di Massimo Cocco dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia).

Giovanni Caprara

La profezia dei Maya.

Di sicuro viviamo in un’era in cui l’enorme diffusione e la grande velocità con cui le notizie viaggiano, ci permette di conoscere quanto, di bello o di brutto, succede nel mondo. Certo è che, a mia memoria, non ricordo una catena di disastri naturali così lunga: terremoti, tsunami, eruzioni. Sarà questo il motivo per cui, nell’ultimo periodo, mi vengono spesso in mente i Maya e la loro profezia. Questo popolo, trucidato dagli scopritori spagnoli, ed in seguito anche da tutte le altre popolazioni europee colonizzatrici, in virtù del loro credo hanno anche bruciato migliaia di libri di quei “pagani” popoli barbari. Il quei roghi sono bruciate anche centinaia di risposte ad altrettante domande. Queste popolazioni, che dagli occidentali venivano etichettate come preistoriche, avevano una cultura immensa, ed hanno ipotizzato un evento che, a loro modo di vedere, cambierà il corso della storia. Secondo il loro calendario, più di 2.500 anni fa questi popoli avevano già un calendario, osservavano gli astri e costruivano opere che ancora possiamo osservare, – non capendo ancora come hanno fatto a realizzarle -, danno anche una data precisa di quando questa apocalisse dovrà accadere, ossia: il 21 dicembre del 2012. Cito Wikipedia:

Il 21 dicembre 2012 è la data del calendario gregoriano nella quale secondo alcune aspettative e profezie si dovrebbe verificare un evento, di natura imprecisata e di proporzioni planetarie, capace di produrre una significativa discontinuità storica con il passato: una qualche radicale trasformazione dell’umanità in senso spirituale oppure la fine del mondo. L’evento atteso viene collegato temporalmente alla fine di uno dei cicli (b’ak’tun) del calendario maya. Nessuna di queste profezie ha alcun fondamento scientifico e sono state più volte smentite dalla comunità geofisica e astronomica. Anche la maggioranza degli studiosi della storia dei Maya confuta queste affermazioni. (fonte Wikipedia)

Il cielo alle 0 UTC del 21 dicembre 2012

Il cielo alle 0 UTC del 21 dicembre 2012

Ci sono moltissime leggende, e a poche, o forse a nessuna di esse, io credo. Certamente so che Zeus, Odino, o altri miti sparsi per il mondo nascono dal mix sapiente di qualche mente illuminata e dalla credulità popolare. Ma sarà il crescendo di tutte queste catastrofi naturali che stanno dilaniando e uccidendo in tutto il pianeta; sarà che le informazioni hanno una capillarità, ed una velocità, esponenziale, quindi ci arrivano dentro casa mentre stanno succedendo, senza avere confini; sarà che su Sky, ultimamente facendo zapping, vedo in continuazione i seguenti film: 2012 e The day after tomorrow; ma non nascondo che il pensiero di una catastrofe imminente, mi frulla spesso per la testa, e non dico che sia paura, ma qualcosa che assomiglia al preludio dell’angoscia. Ci sono dei dati inconfutabili. Sia i popoli centro americani, come: Maya e Aztechi, sia alcuni popoli del nord Africa come: gli Egiziani, avevano delle conoscenze degli astri che si avvicinano a quelle odierne. Basti pensare alla proiezione celeste sulla spianata di Giza, che, secondo accredidati studi riprenderebbe la cintura di Orione, ed il Nilo sarebbe stato la proiezione della via lattea. Oppure i misteri sulla costruzione delle piramidi, sia Egiziane che Messicane. Il mistero sulle figure Nazca. Ce ne sono tante, troppe, di cose senza spiegazioni, di misteri irrisolti. La mia personale opinione è che ci fossero delle conoscenze, apprese chissà da chi, e chissà da dove, che sono andate perdute. E se tra queste conoscenze ci fosse anche quella che prevede uno studio approfondito sui eventi come terremoti, o altre calamità naturali?? Certo che se fosse vero, al 21 dicembre mancherebbe veramente poco. Se poi mi fermo a pensare a tutte le cose che ho da fare. A tutti i viaggi che non ho ancora fatto. Mi trovo a fantasticare sulla lista, mai stesa, dei miei desideri prima della catastrofe. Mi accorgo che ci sono alcune cose non più rimandabili. Mi piacerebbe almeno una volta fare: una traversata oceanica, il giro d’Europa in moto, lanciarmi con il paracadute, mangiare il Guacamole in Messico, fare il giro delle Nuova Zelanda in barca a vela, vedere vincere una finale di coppa del mondo di rugby All Blacks – Italia (giocata in Francia), vedere le balene in Argentina (qualcuno lo ha già fatto, e ancora rosico), fare la route 66 in su una Harley Davidson 883, vedere mio figlio che si laurea ad Harvad, vedere un concerto di Adele, imparare l’assolo chitarra di “Wish  you were here”, vorrei poter vedere crescere mio figlio ed emozionarmi per i suoi successi, vorrei poter assaggiare tutti i Ron (rum) del mondo e poter decidere qual’è il migliore…vorrei tantissime altre cose, ma probabilmente non farei in tempo a farle in una vita intera, figuriamoci in poco meno di sette mesi.