La guerra del touch.

Apple contro Samsung

La guerra del touch.

Sono di parte, decisamente di parte. Penso che Apple sforni prodotti di altissimo design e con dietro uno studio sulle esigenze e le passioni delle persone. Un’azienda che produce con passione le passioni dei suoi clienti. Anche Samsung, ad onor del vero, ha creato alcuni prodotti interessanti in atri ambiti (TV, Hi FI, Tablet). Ho seguito con molta attenzione la lotta sui brevetti tra Apple e Samsung e, senza volere entrare nei tecnicismi spicci della sentenza, rimane un fatto: Apple ha vinto e Samsung ha perso. Oltre a non poter vendere alcuni suoi prodotti, il gigante nord Coreano, dovrà rimborsare ad Apple oltre un miliardo di dollari. Samsung ha dichiarato di voler ricorrere in appello. Leggendo tra i vari blog, ho letto che questa è stata una guerra combattuta tra Android e OS. Non sono assolutamente d’accordo. La guerra è stata sulla paternità delle idee. Non è giusto che qualcuno rubi, e sottolineo rubi, le idee di qualcun’altro, o peggio ancora scopiazzi. Apple ben ha fatto a farsi valere in tribunale. E’ mai possibile che non ci siano altre cose da inventare? La filosofia giusta, in aziende che vogliono innovare è dare libero sfogo ai creativi. Mi auguro che questa lezione sia da stimolo per Samsung che, in altri settori tecnologici, ha ben fatto.

11 luglio 1982, io c’ero…

Italia 82

Nazionale Italiana 1982

Ricordo nitidamente quella serata. Quando Zoff alzò la coppa al cielo, quando Tardelli segnò ed il suo esultare rimase nella storia, il “Campioni del mondo, Campioni del mondo” urlato da Nando Martellini al fischio finale, Paolo Rossi capocannoniere del mondiale, la maglia strappata di Maradona tra le mani di Gentile, quel goal di Falcao che ci ha gelato contro il Brasile, quel manifesto firmato Mirò che ci ha accompagnato per tutto il mondiale, la pipa di Bearzot, l’esultanza di Pertini, e quella squadra che, ancora oggi, se mi chiedi di citarti una nazionale a memoria, inizia così: Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Collovati….

Sono passati 30 anni da quella sera, ed è ancora il mondiale che preferisco. Venivamo anche li dal calcio scommesse del 1980 che aveva portato in carcere molti giocatori, ma quella era la nazionale che batteva il Brasile, l’Argentina, rischiando però di uscire nel primo girone contro in Camerun di Nkono. Che bella quella serata di luglio, a festeggiare con mamma e papà per le strade, avevo più o meno l’età di Filippo. Questo però è il segno ineluttabile dell’età che avanza. Inizio a ricordarmi cose che neanche la mia compagna forse ricorda. Daniela è più giovane di me. Non so se è un brutto segno, ma sicuramente un bel ricordo. Era un periodo in cui si poteva ancora gridare “FORZA ITALIA”, senza che un coglione se ne fosse impossessato.

Lezioni di Rugby – Curiosità: Sonny Bill Williams –

Sonny B

Sonny Bill Williams in azione.

Ci sono degli atleti che c’incuriosiscono molto, per la loro facilità di gioco. Nel rugby non è una cosa comune trovare un concentrato di qualità in un solo alteta. Sonny B Williams centro – ala neozelandese è uno di loro. Nato il 3 agosto del 1985, da mamma neozelandese e padre samoano, giocatore di rugby a 13, è un atleta dal fisico imponente e proporzionato. E’alto 191 cm e pesa 108 kg. E’ un concentrato di potenza ed eleganza. Ha una progressione impressionante che, unita ad una grande agilità, lo rende praticamente impossibile da placcare. Gioca, dal 2012, nella franchise neozelandese di Super Rugby degli Chiefs, nel ruolo di centro ala. Si è laureato campione del mondo, con gli All Blacks agli ultimi campionati del mondo di rugby, ma la cosa curiosa sta nel fatto che è anche un pugile professionista. Infatti dal 2009, grazie ad un permesso speciale accordatogli dalla federazione neozelandese di rugby, ha ottenuto di poter diventare un pugile professionista, disputando 5 incontri, di cui 3 vinti per KO. Nel 2011 è diventato campione nazionale nei pesi massimi. Andando a leggere su questo atleta, emerge una serietà professionale ed un rigore non comune ad un ragazzo della sua età. Questo è certamente la conseguenza di una serie di problemi avuti all’inizio della sua carriera, e tutti riconducibili ad abuso di alcol. Attraverso lo sport e l’impegno che esso richiede, un ragazzo dotato come Sonny Bill, sta cercando di ottenere un riscatto, personale e sociale. Nel 2008 si è convertito all’Islam, e questo ha fatto segnare un nuovo record nella carriere di questo giovane: è il primo atleta mussulmano che ha indossato la maglia degli All Blacks. L’augurio che tutti ci facciamo è quello di poter continuare a vedere questo atleta all’opera, come rugbista:

e come pugile professionista:

Tanti auguri Sonny Bill.

Old Rugby Frascati – Olney…una giornata da ricordare

Old Rugby Frascati - Olney

Il fine partita.

E’ passato oltre un mese da quella partita, ma il ricordo è ancora vivo, soprattutto in alcuni miei compagni di squadra che ancora si stanno rimettendo dagli infortuni subiti. Ma spalle o zigomi rotti, non hanno stemperato il clima che si è creato dopo quell’incontro. E se oltre Manica, usano il termine “grassless” per descrivere il nostro campo, noi rimaniamo orgogliosi dell’impresa. Proprio per provare a non perdere quel ricordo, ho deciso di mettere in ordine un po’ di materiale che è stato pubblicato per l’occasione. Inizio con l’articolo uscito sul Il Mamilio:

http://www.ilmamilio.it/castelli_sport.asp?id=2470&by=a&com=notizie_eventi

A seguire è uscito un articolo su “Il Tempo”, il titolo la dice lunga sia sulla qualità dei nostri avversari, sia sull’importanza del risultato:

Articolo su “Il Tempo”

Nei giorni scorsi poi, Will Greenwood ed i suoi amici, hanno pubblicato su YouTube un video molto divertente di cui allego il link:

E’ stata una bella giornata di sport.

L’emozione di un’emozione.

Il week end scorso, la squadra di Filippo, l’under 10 dell’ASD Mini rugby Frascati, ha partecipato al Torneo Brugato. Un evento che, oramai da anni, si svolge presso il centro sportivo dell’Acqua Acetosa. Anche quest’anno il torneo si è svolto in un contesto, nel complesso, sicuramente molto piacevole. I ragazzi poi, hanno preso la manifestazione nella maniera giusta. Il sabato hanno giocato tre incontri vincendoli tutti. Hanno battuto avversari di tutto rispetto come: le Fiamme Oro o la Primavera Rugby. Mi ha molto colpito lo spirito, la grinta con il quale tutti hanno affrontato questo impegno. Ogni volta poi che osservo il viso di mio figlio, la classica faccia d’angelo, con gli occhioni da cerbiatto e capelli biondo-rosso, e poi osservo lo stesso viso in campo, debbo mi fa un po’ strano. Un bambino, sicuramente vivace, ma decisamente a modo, che si trasforma in un piccolo Parisse. Un guerriero che placca e ruggisce all’avversario come il più consumato dei rugbisti.

Frascati Under 10

Il dream Team

Tutto il torneo, ha avuto da parte di Filippo e di tutti i suoi compagni, un motivo comune: la grinta. Hanno affrontato anche gli incontri per accedere alle finali, che si sono svolti la domenica mattina, con una carica agonistica impressionante. Non comune in bambini di dieci e nove anni. Correvano su tutte le palle, placcavano anche le mosche che passavano di li per caso, facevano indietreggiare tutti gli avversari. Uno spettacolo. Ma questo punto di vista può sembrare esagerato, pare visto con gli occhi di un padre che osserva il figlio. Un signore di Rieti, ed era li per assistere al torneo del nipote, passava vicino al campo dove si svolgeva l’incontro della domenica tra: Frascati e Tor Tre Teste. Si è fermato a vedere tutta la partita, e mi ha confessato di aver visto poche squadre, formate da bambini di quell’età, giocare in quel modo, come stava giocando il Frascati. Ovviamente di questo va dato merito agli allenatori, ed anche alla società, ma ritengo che il materiale umano che stanno plasmando è di altissimo livello. La domenica mattina si è conclusa con un risultato decisamente al di sopra di tutte le più rosee previsioni. La squadra di Filippo aveva vinto tutte, e dico tutte, le partite, giocando un bellissimo rugby. Molto “Frascatano” come stile, incentrato sul contatto fisico, la difesa, la vittoria dei punti d’incontro, ma anche molto intelligente nelle soluzioni d’attacco. Quella striscia di bei successi, ha permesso di accedere alla finale per il primo e secondo posto, che si sarebbe giocata sul campo centrale, alle 16.00. La soddisfazione era talmente tanta che ho chiamato mia sorella per raccontargli l’impresa, e lei, munita di marito e figlie, è venuta a vedere il nipote che avrebbe disputato la finale. La giornata era caldissima, e dopo pranzo la temperatura quasi estiva si è fatta sentire tutta. L’emozione di questi piccoli uomini di 10 anni era tangibile, anche dagli spalti. Con la manina sopra la fronte, a ripararsi gli occhi dal sole, tutti davano uno sguardo alla tribuna gremita. Quasi a cercare, il genitore, l’amichetto, la cugina, sicuramente tutti osservavano la quantità di gente che li stava guardando. Prima di disputare la loro finale, ci sono state quelle della under 6, e poi dell’under 8 (dove per altro il Frascati ha vinto). Hanno passato questi minuti facendo una serie di esercizi di riscaldamento, ma con un occhio erano sempre li: tra il campo da gioco e le tribune. Ad urlare saremo stati forse in 2.000, il clima era bellissimo, e lo spirito quello giusto. Entrano in campo. Sono tesissimi. Si urlano qualcosa d’incrompresibile tra loro, un po’ per darsi le posizioni, un po’ per cercare di sciogliere la tensione. Anche io sono emozionato. Calcio d’inizio ed è subito partita vera. Bellissimi scambi dall’una e dall’altra parte. Scatti e placcaggi a raffica. Il Frascati, a mio avviso, gioca meglio ma prende due mete, una di seguito all’altra, per distrazione (emozione). Sabato, ma anche la mattina della finale, non le avrebbero prese. Lorenzo, il loro allenatore, urla qualcosa ed è il meta per noi. Ma sul calcio di rimessa, perdiamo la palla e vanno sul tre a uno. Filippo lotta come un leone. Si vede che la sente quella partita. Prende un placcaggio, e gli fa male, ma non esce. Non ne ha la minima intenzione. In quella finale vuole esserci. Lui, che non è un gran placcatore, ne fa tanti. In un’azione ne prende tre. Arriva la meta che porta il risultato sul tre a due. La fa Matteo, un bimbo che a guardarlo non dovrebbe fare questo sport, ed invece placca e segna come Masi. Finisce il primo tempo. L’acqua è la prima cosa che vanno a cercare. Fa caldo ed hanno tutti corso tantissimo. Bevono, si bagnano i capelli. Lorenzo li stimola al punto giusto. Sono li tutti seduti intorno al loro allenatore e lo ascoltano con attenzione. Rientrano in campo ed è subito pareggio. Il mio cuore dice che ce l’avremmo fatta. Dopo quella meta, ho rivisto nei loro occhi la voglia e la determinazione che avevo visto per tutto il torneo. Come una doccia fredda è arriva la meta del quattro a tre degli avversari, che ha letteralmente bloccato le gambe dei nostri ragazzi. Non fanno in tempo a capire cosa è successo, che ne subiscono subito un’altra. Sul risultato, a quel punto, acquisito, non hanno però smesso di lottare. Questo sport t’insegna tre cose fondamentalmente: la prima che per fare pochi metri devi fare tanta fatica, la seconda che per avanzare devi avere il sostegno del compagno, e la terza, a mio avviso la più importante, a non mollare mai. Loro non lo hanno fatto. Hanno finito la partita sulla linea di meta degli avversari, senza riuscire a farla. Che bellissimo esempio per tutti quegli adulti sugli spalti. Il vero insegnamento, come capita spesso, ce lo hanno dato loro. Se  noi, così dette persone mature, mettessimo in pratica nella vita quello che abbiamo potuto vedere sul quel campo, da quei venti piccoli uomini, andrebbe tutto decisamente meglio.

Fase di gioco

Roma Primavera – Frascati

Ma poi succede quello che non ti aspetti. Sono sceso dagli spalti, e mi sono avvicinato a Filippo, e ai suoi compagni, per andargli a fare i miei complimenti. Se li erano veramente meritati. E ho trovato quei tredici leoni: a piangere. Filippo era un fiume in piena, non riusciva a fermarsi. Gli occhi gonfi, i singhiozzi, per quel risultato che non erano riusciti a portare a casa. Il manuale del bravo papà, in quelle quelle circostanze recita che bisogna rassicurare il proprio figlio e spiegargli che la vita va così: a volte si vince, e a volte si perde; in ogni caso bisogna essere forti ed accettare il verdetto del campo. In parte l’ho anche fatto, ma anche io con le lacrime agli occhi. Solo in quel momento, ho capito quanto quei ragazzi fossero veramente un gruppo, un bel gruppo. Ma soprattutto quanto contava per loro vincere quella partita. Quel rettangolo di gioco, per loro, era il frutto di due giorni di sforzi; tutti quegli scatti, quei placcaggi erano mossi da uno spirito superiore che li ha uniti, sin dall’inizio del torneo, ma forse anche da prima. Mi era già capitato di piangere per mio figlio, o anche condividere uno suo stato d’animo. Non mi era mai capitato di piangere con mio figlio.