Ieri sera siamo andati a vedere Birdman. Daniela, Filippo e io avevamo voglia di una serata al cinema e Birdman ci è sembrata la scelta giusta. Il film è surreale, innovativo, geniale e decisamente intelligente. La telecamera che riprende in continuo, tecnicamente: lungo piano sequenza. Una batteria a scandire il ritmo del film e che compone, quasi per intero, la colonna sonora del film. Aspetti tecnici che rendono il film unico e coraggioso. La trama è, apparentemente, molto semplice, quasi banale. Un attore che negli anni novanta ha un immenso successo interpretando unsupereroe: Birdman, è alle prese con una crisi esistenziale, che si manifesta in tutta la sua forza nella messa in scena di uno spettacolo teatrale di Broadway. Elaborato, ma evidente, il parallelismo tra l’attore, personaggio del film: Riggan Thomson e l’attore che lo interpreta: Micheal Keaton. Oltre alla carriera molto turbolenta di entrambi, un’altra analogia sta nel ruolo che li ha resi celebri: Birdman nel film, Batman nella realtà. Uomo uccello nel film, pipistrello nella realtà. Entrambi toccano l’apice della carriera nel 1992, anno in cui escono entrambi i film: quello di fantasia, e quello nella realtà. I successivi fallimenti, o comunque la controversa carriera di entrambi danno un tocco biografico al film. Senza entrare nel merito della trama, che prevederebbe di estendere la discussione: alla depressione, al visione della vita secondo con gli occhi della fantasia, al rapporto padre figlia, alla disquisizione sulla differenza tra essere attori oppure una celebrità, mi è piaciuto molto il dibattito che si è, autonomamente, aperto mentre tornavamo a casa. Daniela ha subito colto l’analogia con Batman, cosa che, sinceramente ne io, ne Filippo avevamo colto; Filippo ha avuto una lettura del film molto incentrata sulla fantasia del personaggio, che riteneva di avere gli stessi superpoteri dell’uomo uccello. Ha anche paragonato questo personaggio a Walter Mitty, altro visionario personaggio che fa un viaggio incredibile alla caccia di un negativo fotografico, mentre la rivista per cui lavora, Life, sta per chiudere, o quasi. E’sempre affascinante analizzare come la mente delle persone si attiva. Lo stimolo può essere lo stesso, ma: il carattere, il vissuto, la sensibilità di ognuno di noi ci fa vedere la stessa cosa con delle prospettive totalmente diverse. Ieri il percorso dal cinema a casa è stato molto formativo. Un ragazzo di tredici anni che analizzava, con gli strumenti che la vita gli ha messo a disposizione sino ad oggi, un film. L’analisi è stata lucida e ammetto che lui ha notato delle cose che io non avevo notato, mentre non si è soffermato su dei punti che io invece avevo colto, ma solo perché la mente di un adulto è molto più deviata, corrotta. Daniela ha visto tutt’altro. Giusto anch’esso, ma tutt’altro. Ieri mi sono perso nel sentire quelle analisi è stato bello. Un attimo di affascinante banalità, ma che mi ha fatto capire tante piccole cose. Forse questo film ha proprio questo scopo. Dare ad ognuno di noi una visione sulle nostre fantasie, le nostre paure, nel capire che non è mai troppo tardi per recuperare un rapporto con un figlio, un genitore, nell’affrontare la vita liberandoci del superfluo e puntando solo all’essenza. Quanto corriamo, quanto ci affanniamo per ritrovarci, in alcuni momenti, a fare i conti con una vocina interna che ci ricorda quello che abbiamo sbagliato e quanto siamo provvisori. Un film con una fortissima carica psicologica messa su pellicola con estrema maestria. Tutti i premi che ha visto sono assolutamente meritati, e forse, dico forse, avrebbe potuto vincere Michael Keaton. Per alcune scene, e per il linguaggio molto poco schermato, non è adatto ad un pubblico giovanissimo. Se anche il cinema, in qualche modo, è un forma di arte, questo film si può riassumere come un trattato sulla psicologia applicata alla vita di oggi.
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Albertone, già dieci anni.
Mi sono reso conto che, l’altro ieri, il 26 di febbraio, è ricorso il decimo anno dalla morte di Alberto Sordi. Sono cresciuto con i suoi film, mi ha fatto fare un mare di risate. E’ stato un attore che ho molto apprezzato, e che ancora apprezzo. I suoi film che preferisco: un Americano a Roma, la Grande Guerra e il Vigile. Il suo capolavoro: il Marchese del Grillo. Ho visto piangere tanta gente al suo funerale. Un attore che ha saputo interpretare una generazione d’Italiani, senza distinzione di ceto, di classe e di ricchezza. Un grande uomo, come pochi ce ne sono, capace di ridere e far ridere anche dei suoi difetti. Una stella nel firmamento della cinematografia, non solo italiana. Grazie Albertone, manchi tanto a tutti.
Argo
Domenica sera era la giornata giusta per andare al cinema. La scelta è caduta su Argo, un bel film diretto e interpretato da Ben Affleck. Risultato tra i 10 miglior film secondo l’Afi (American film institute), ripercorre una missione della CIA nell’Iran di Komeini. Scorre veloce e tiene lo spettatore sempre in allerta. Lo sfondo sono i fatti successi nell’ambasciata USA in Iran, appena prima degli anni 80. L’agente Tony Mendez ha il compito di riportare a casa sei cittadini statunitensi, scappati all’invasione dell’ambasciata USA, da parte dei rivoluzionari di Komeini nel 1979. In quell’occasione, 52 statunitensi rimasero prigionieri per oltre 400 giorni nelle mani dei guerriglieri, in una situazione al limite della umana sopportazione. Il film è ben interpretato e ripercorre, con qualche romanzesca aggiunta, i fatti che si sono susseguiti in quei tremendi giorni. Un film che ti tiene con il fiato sospeso, dall’inizio alla fine, e fa assaporare allo spettatore il gusto della libertà. Forse è la prima volta che faccio il tifo per la CIA. Curiosissima la tecnica che venne usata all’epoca dalla CIA, studiata dall’agente Mendez, per riportare a casa i 6 dipendenti dell’ambasciata USA, scampati all’assalto.
Scheda:
regia di Ben Affleck. USA, 2012.
Con Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber.
Titolo originale: Argo.
Durata: 120 min. Drammatico.