Era un pò che non scrivevo, era un pò che non si vedeva un attentato come quello di Boston. Potenzialmente poteva essere una strage, e per quanto è brutto e irrispettoso dirlo, è andata bene così. Ora rimangono i dubbi e le lacrime. I dubbi sono relativi, soprattutto ai perché. Un attentato come quello ordito ieri, non può rimanere senza rivendicazioni. Chi organizza una cosa del genere, con il frastuono che cagiona, non può voler rimanere in disparte. Non credo che il governo degli Stati Uniti, non sappia chi abbia fatto esplodere quelle bombe. Questa assenza d’informazione e di divulgazione mi preoccupa ancora di più. Mi da l’idea della vulnerabilità a cui ci espongono. Perchè, e soprattutto che rischio abbiamo che colpiscano di nuovo. Non è possibile che continui a morire gente comune, bambini. Ieri è morto un bambino di 8 anni, quattro meno di mio figlio, che voleva vedere il papà all’arrivo della maratona. Voleva poterlo abbracciare. Martin, questo era il suo nome, aveva un eroe: quel papà che avrebbe voluto ricevere il premio di quell’abbraccio, dopo 42 chilometri di sofferenza. Quel papà che sarebbe arrivato sul traguardo solo dopo pochi minuti, ed ora quello stesso papà non ha più il suo bambino. A questo genitore gli si deve una risposta. Non ha senso questa follia dell’umanità. Non esiste protesta o battaglia o lotta, che possa portare via un figlio ad un padre. Perché questo inutile sacrificio. Perchè sono sempre gli innocenti i più colpiti. Un’altra immagine che ieri, a caldo, mi ha fatto versare qualche lacrima, è del corridore che, caduto a terra con lo spostamento d’aria. Dopo un primo smarrimento, si è rialzato ed è arrivato sino al traguardo. Era stordito, ferito alle ginocchia, ma è arrivato. Quella maglia arancione che non si è fatta piegare dalla violenza che è esplosa intorno a lui, ed ha portato a casa il suo traguardo, il suo obiettivo. Un gesto di sport, un gesto di tenacia. Mi auguro che quella stessa immagine possa essere replicata da parte di chi deve, e anche velocemente, dare una risposta a tutte queste lacrime, a tutta questa follia.
Beh, tieni presente che solitamente quando c’è un’indagine in corso si cerca di ridurre al minimo le informazioni all’esterno. Non per una questione di mancanza di rispetto, ma perché la miglior risposta da dare a chi ha subito un danno è il poter arrivare a prendere il responsabile. Ma gestire le informazioni resta un punto cruciale. Dico questo perché a volte la scarsità di notizie può essere confusa con l’assenza di piste da seguire, ma non sempre è così.
Ieri c’è stata una terza esplosione alla biblioteca ma poi si sono affrettati a comunicare che non si trattava di una bomba. Precisazione doverosa, per non far pensare alla città di essere totalmente sotto scacco. Forse per lo stesso motivo si preferisce lasciare il dubbio sui possibili responsabili piuttosto che dire, ad esempio, “seguiamo la pista del terrorismo islamico” e far ripiombare il Paese nella paura del post 11 settembre. Mi dirai: c’è chi lo pensa già. Sì, vero. Ma un conto è pensarlo, un conto è sentirlo ufficializzare da chi indaga…
Sai cosa mi preoccupa di più? Il fatto che stiamo parlando dello stesso paese che ha dichiarato che Bin Laden era stato catturato, ucciso, e sepolto in mare. Mi fa paura che, pochi minuti fa, Obama ha chiesto di non avere paura. Come si fa a non averla? Come si fa a fidarsi delle istituzioni? Penso, e ne sono sempre più convinto, che l’informazione sia, spessissimo, vittima di distorsioni troppo netta. Staremo a vedere.
Ecco, sul discorso della paura penso che il compito di un capo di Stato sia, ovviamente, di dire ai propri cittadini di star sereni, ma io penso che la paura sia fondamentale. La paura che certe cose possano accadere, se non diventa psicosi, serve a tenere viva l’attenzione. D’altra parte, come si fa a non temere chi pianifica ed esegue degli attentati?
Detto questo, però, spezzo una lancia in favore degli americani, che con l’11 settembre hanno provato come si vive con la guerra in casa. Sì, i nostri genitori e i nostri nonni lo sanno meglio di loro, ma la guerra che hanno conosciuto negli USA non è fatta di carri armati, visibili e facilmente individuabili, bensì di uomini e donne camuffati in mezzo alla gente, pronti a saltare in aria per fare una strage. Hanno affrontato questa guerra e dopo essere stati feriti si sono rialzati subito. Non so cosa avremmo fatto noi, ma loro hanno ricominciato. In questo sono un grande Paese e spero affronteranno anche questa nuova minaccia…
Io sull’11 settembre, ho un’idea tutta mia. Anche li la gente comune si è trovata a dover combattere una guerra che non gli apparteneva. Forse i figli dei nostri figli, leggeranno come effettivamente sono andate le cose.